Festeggiano, esultano, citano addirittura Paolo Borsellino. La mafia a Roma non esiste: gli accusati di mafiosità, dunque, possono esultare. Alla fine del processo nato dall’inchiesta sul Mondo di Mezzo, i giudici della X sezione penale non hanno riconosciuto a nessun imputato l’accusa di 416 bis – e cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso –  e nemmeno l’aggravante mafioso previsto dall’articolo 7. I legali di Massimo Carminati, quindi, trattengono a stento l’entusiasmo, nonostante il proprio assistito sia stato appena condannato a vent’anni di carcere.

“La mafia a Roma non esiste, come andiamo dicendo da 30 mesi, è stato certificato che Mafia capitale non esiste, sono riconosciute due associazioni una del benzinaro (ovvero la stazione la stazione di servizio a Corso Francia dove gravitavano i personaggi della malavita legati all’associazione, ndr) e un’altra legata al mondo delle cooperative”, dice Giosuè Naso, l’avvocato del Cecato. Al quale sembra replicare indirettamente Roberto Saviano. “A Roma la mafia non esiste. Anche a Palermo non esisteva. È ora di rivedere un reato applicabile solo a gruppi capeggiati da meridionali“, scrive su Twitter l’autore di Gomorra.

L’avvocato Naso però va oltre. “Non so se ci sono dei vincitori ma certamente lo sconfitto è Pignatone”, dice sempre il legale di Carminati prima di accennare una protesta per le alte condanne emesse. “La presa d’atto della inesistenza dell’associazione mafiosa – dice – ha provocato una severità assurda e insolita. Mai visto che a nessuno di 46 imputati non venissero date attenuanti. Sono pene date per compensare lo schiaffo morale dato alla procura”. 

Soddisfatta anche la figlia di Giosuè Naso, Ippolita, anche lei legale dell’ex Nar indicato come il capo dei capi di Mafia capitale.  “Massimo Carminati è soddisfatto – dice – Io ero fiduciosa, lui era pessimista. Dopo la sentenza mi ha detto: avevi ragione tu. Tutto ciò che era mafia di questo processo perde terreno”.  Quindi i due legali hanno raccontato quale è adesso la prima richiesta avanzata dall’ex terrorista nero. “Ora mi devono togliere subito dal 41 bis“, ha detto Carminati ai suoi avvocati. “Dovrebbe essere revocato il carcere duro perché non c’è più la mafia, ci ha passato 32 mesi, chi glieli ridà a Carminati? Adesso comunque pensiamo alla sentenza”, spiega Naso prima di tirare addirittura in ballo. “Questa sentenza è un modo serio di ricordare il sacrificio di Borsellino, non si deve fare il professionismo del’antimafia. Se tutto è mafia nulla è mafia”.

Esultano anche i legali di Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative condannato a 19 anni di carcere. “Abbiamo vinto, abbiamo sempre detto che la mafia a Roma non esiste e così oggi è stato dimostrato. Abbiamo liberato questa città da una mafia costruita”, dice l’avvocato Alessandro Diddi. “Abbiamo dato una grande lezione alla procura, che ha subito una sconfitta totale. Hanno investito tutto sul 416 bis, hanno impedito di accertare le corruzioni di questa città”, aggiunge sempre il legale di Buzzi. “Ora quando esco?”, ha chiesto, invece, il ras delle cooperative ai suoi avvocati dopo la lettura della sentenza: “Mi auguro che alla luce di questa decisione la mia permanenza in carcere stia per finire”. 

“Aspetteremo le motivazioni per capire. Credo che faremo appello”, ha invece detto il procuratore aggiunto della Capitale, Paolo Ielo. “Questa sentenza – ha commentato – riconosce un’associazione a delinquere semplice, non di tipo mafioso. Sono state date anche condanne alte. Rispettiamo la decisione dei giudici anche se ci danno torto in alcuni punti mentre in altri riconoscono il lavoro svolto in questi anni. Attenderemo le motivazioni”.

“Quello che è stato chiaramente accertato oggi è che c’è un’associazione criminale che è stata in grado di condizionare pesantemente le scelte politiche di questa città e i danni li stiamo pagando, li vediamo tutti i giorni. Oggi è un momento molto importante per la città di Roma, dobbiamo trarne tutte le conclusioni e regolarci di conseguenza”, ha commentato la sindaca Virginia Raggi, presente in aula come massimo rappresentante del comune di Roma, che era parte civile al processo.

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