Un rimborso dopo sei anni è sempre meglio di niente. Per 14mila famiglie italiane però quel “niente” rischia di diventare certezza. Nel tormentato settore delle adozioni si consuma l’ultima beffa: dopo le inchieste giudiziarie sugli enti e le accuse in capo all’autorità di controllo si scopre che i rimborsi dello Stato sono tutt’altro che scontati. La Commissione Adozioni (Cai), guidata dal 15 giugno dalla nuova vicepresidente Laura Laera, assicura che entro il 2017 liquiderà integralmente le spese sostenute per adozioni concluse nel 2011, cioè a distanza di sei anni, ma fa anche sapere che non ci sono fondi né decreti per garantire a chi ha adottato dopo lo stesso beneficio, per cui “è inutile in questo momento che le famiglie inoltrino domande per gli anni successivi, se e quando ci sarà da fare domanda ne daremo notizia. Attendiamo provvedimenti”.

Rende più surreale la vicenda il fatto che i fondi in parte ci sarebbero anche, ma sono fermi da due anni: per la precisione 20 milioni di euro, 12,5 previsti in Legge di stabilità 2016 più una riserva di 7 milioni per il 2017 derivante dai riporti relativi alle annualità precedenti. Lo aveva confermato un anno fa l’allora ministro e presidente della Commissione Adozioni (Cai) Maria Elena Boschi. E allora? Non trattandosi di interventi strutturali (a differenza della deduzione del 50% delle spese certificate che ancora esiste) la copertura della voce “rimborsi” doveva essere indicata con un decreto di stanziamento ad hoc che nei sei anni successivi – nonostante le promesse – nessuno s’è preso la briga di firmare. L’ultimo risale a quando Carlo Giovanardi era ministro della Famiglia, anno 2011. Da allora, niente.

Da allora circa 14mila famiglie adottive si sono fatte carico delle spese non deducibili per intero, a differenza di chi le ha precedute. Il trattamento di disfavore, figlio della sistematica “distrazione” della politica verso il settore, ha un costo sociale pesante che rischia di aggravare il calo delle richieste (erano 8mila nel 2001, 5mila nel 2011, sotto le 3mila oggi). Per riparare al torto potrebbero servire però 40-50 milioni. Ecco perché la questione diventa “politica”. La scorsa settimana è partita una campagna online con petizione su Change.org per sensibilizzare il governo Gentiloni: promossa dalle 23 associazioni del Care che ha già superato le 5mila firme. Diversi parlamentari stanno depositando interrogazioni sulla vicenda (Lia Quartapelle (Pd), Aldo Di Biagio (Ap-Ce), Andrea Causin (Fi).

Che sia una questione “politica” lo ha confermato la stessa Laura Laera al magazine online Vita, spiegando che “non ci sono le risorse per fare la stessa cosa per tutti gli anni successivi al 2011”. “Stiamo esaurendo i rimborsi relativi al decreto di Giovanardi. Per gli anni successivi al 2011 non c’è un provvedimento analogo. Se ci sarà pagheremo. E’ però inutile che in questo momento inoltrino domande per gli anni successivi, se e quando ci sarà da fare domanda ne daremo notizia. Attendiamo provvedimenti”. L’Italia “non è un paese per famiglie adottive” scrive Fabio Selini, padre adottivo che affida a Facebook il suo sfogo sul caso rimborsi menzionando i tanti che “hanno acceso un mutuo o “dilapidato” il proprio Tfr per sostenere le spese adottive e che contavano nei rimborsi per rientrare almeno un po’, ritenendo civile, morale o semplicemente dovuti gli impegni di uno Stato che si ritiene civile”.

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