Uccisa per dalla polizia che lei stessa aveva chiamato. È successo sabato, nel quartiere benestante di Minneapolis, in Minnesota, dove la vittima, Justine Damond, viveva con il futuro marito, assente quella sera per lavoro. Ed era stata proprio Justine, quarantenne maestra di yoga di origini australiane, a chiamare il 911, il numero della polizia, perché aveva sentito una donna urlare in strada e temeva che la stessero violentando.

Quando è arrivata la pattuglia, la 40enne si è avvicinata al finestrino della macchina, in pigiama, disarmata e con cellulare in mano. Ma l’agente seduto accanto al guidatore, Mohamed Noor, 31 anni, somalo-americano ha sparato più colpi colpendola all’addome, uccidendola. Quello che non è chiaro è il perché l’agente abbia aperto il fuoco. Forse aveva scambiato il cellulare tenuto in mano dalla donna per un’arma. Ma non è possibile saperlo: le body-cam, le telecamere che i due poliziotti indossavano erano spente, benché fossero tenuti per regolamento ad accenderle. Come da procedura, i due agenti sono stati messi in congedo retribuito in attesa di chiarimenti.

Justine si sarebbe dovuta sposare fra un mese con il compagno Don Damond e si era trasferita negli Stati Uniti per seguirlo. Proprio lo Stato del Minnesota, era stato recentemente scosso dall’uccisione di Philando Castile, afroamericano fermato alla guida della sua auto con un fanalino di coda rotto e ucciso poco dopo dalla polizia davanti alla figlia di quattro anni e alla fidanzata, che ha immortalato la scena in un video. L’agente che ha sparato, Jeronimo Yanez, è stato assolto dalle accuse ma licenziato.

 

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