Gli errori nelle indagini sulla strage di via d’Amelio e le domande rimaste ancora senza risposta nell’accertare i responsabili dell’eccidio che ha spazzato via Paolo Borsellino e i cinque uomini della scorta. Sergio Mattarella sceglie di citare i misteri legati alla strage del 19 luglio del 1992 per commemorare il magistrato palermitano, ucciso da Cosa nostra esattamente venticinque anni fa. E lo fa intervenendo davanti al plenum del Consiglio superiore della magistratura, riunitosi proprio per commemorare la strage e desecretare gli atti del fascicolo personale del giudice palermitano.

“La tragica morte di Paolo Borsellino, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di Via D’Amelio, e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato“, sono le parole scelte dal Presidente della Repubblica a Palazzo dei Marescialli.

Parole, quelle del capo dello Stato, che si collegano indirettamente a quanto scritto da Papa Francesco, negli stessi minuti, su Twitter: “Preghiamo per tutte le vittime delle mafie, chiediamo la forza di andare avanti, di continuare a lottare contro la corruzione”, scrive Bergoglio sul social network, incrociando idealmente la lotta alla mafia a quella alla corruzione, altro tema più volte richiamato anche da Mattarella nei suoi discorsi.

In quello di questa mattina il capo dello Stato ha ripercorso l’attività da magistrato di Borsellino, dagli esordi fino all’approdo all’Ufficio Istruzione di Palermo diretto da Rocco Chinnici. “Paolo Borsellino – ha detto Mattarella – ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto. Sapeva bene che, per il raggiungimento di questo obiettivo, non è sufficiente la repressione penale ma è indispensabile diffondere, particolarmente tra i giovani, la cultura della legalità. Proprio per questo era impegnato molto anche nel dialogo con i giovani, convinto che la testimonianza di valori positivi promuove una società sana e virtuosa, in grado di emarginare la criminalità”.

A rimanere sospese nell’aria, però, sono ovviamente le parole utilizzate dal presidente per ricordare che appunto l’eccidio del magistrato palermitano è ancora in gran parte avvolto nel mistero. Dal depistaggio nelle indagini, alla scomparsa dell’Agenda rossa sono molteplici, infatti, i punti oscuri legati alla strage Borsellino. La prima inchiesta venne inquinata dalle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino, il balordo che si autoaccusò dell’eccidio sotto la minaccia di sevizie e torture. Quelle dichiarazioni costarono la condanna a sette innocenti che proprio alla vigilia dell’anniversario numero 25 si sono visti assolvere dall’accusa di strage nel processo di revisione: alcuni sono stati scagionati dopo 18 anni passati in regime di carcere duro, altri invece avevano già scontato integralmente la pena per reati minori collegati all’eccidio del magistrato palermitano. E anche se se le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza hanno ricostruito le esatte dinamiche esecutive della strage, non si sa ancora chi e perché ha obbligato a mentire Scarantino, che per i giudici del processo Borsellino Quater è stato indotto a fare le sue false accuse.

Non è la prima volta che un presidente della Repubblica rilancia il tema dei depistaggi nella strage di via d’Amelio. Il 23 maggio 2012, durante il ventesimo anniversario della strage di Capaci, Giorgio Napolitano aveva citato “la gravità degli errori che in sede giudiziaria si sono compiuti nei procedimenti relativi alla strage di via D’Amelio. In tali casi non si deve esitare a rimettere in discussione le conclusioni a cui si era pervenuti, non si deve esitare pur di raggiungere la verità”. Un messaggio che sembrava un appoggio ai giudici, che in quel momento erano impegnati nelle istruttorie del processo Borsellino Quater e del processo di revisione. Poche settimane dopo, però, Napolitano venne coinvolto nell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia a causa delle intercettazioni tra il suo consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, e l’indagato Nicola Mancino. Lo stesso presidente emerito era stato intercettato al telefono con l’ex presidente del Senato per ben quattro volte: ne nacque un feroce scontro con la procura di Palermo con tanto di conflitto di attribuzione sollevato davanti alla corte Costituzionale e la distruzione di quelle bobine.

Diverso – e molto più rilassato – il clima instaurato da Mattarella con i vertici giudiziari. Ricordando Borsellino, tra l’altro, il presidente ha voluto ricordare i recenti atti vandalici che hanno colpito prima il busto di Giovanni Falcone, davanti alla scuola omonima nel quartiere Zen di Palermo, e poi la lapide commemorativa del giudice Rosario Livatino , ad Agrigento.  “Come ho già detto in occasione della seduta dedicata a Giovanni Falcone – ha detto  – la rievocazione delle loro figure non può, e non deve, trasformarsi in un rituale fine a se stesso, originato dalle spinte emotive suscitate dall’occasione. E questo ci viene ricordato, ancora una volta, dall’ignobile oltraggio recato al busto di Giovanni Falcone nella scuola di Palermo a lui dedicata. E, ancora ieri, da quello contro la stele che ricorda Rosario Livatino. Ricordare Paolo Borsellino vuol dire far memoria di come egli visse, interpretò e svolse il suo ruolo di magistrato, costantemente impegnato nella sua terra d’origine per l’affermazione della legalità, con rigore e con determinazione, sempre con noncuranza riguardo alla visibilità per l’attività svolta”.

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