La data non dirà molto ai più ma oggi è l’International criminal justice day, una data che segna i 19 anni dall’approvazione dello Statuto di Roma, il Trattato istitutivo della Corte penale dell’Aja (Icc), il primo tribunale permanente incaricato di giudicare i crimini contro l’umanità. Fuori da giri di accademici e addetti al settore, l’Icc non ha guadagnato la credibilità e il prestigio della Corte europea per i Diritti umani o del Tribunale per l’Ex Jugoslavia, ma le sue attività hanno comunque segnato un traguardo importante.

L’Icc e lo Statuto di Roma sono certamente figli di un’altra epoca storica: un prodotto degli anni ’90 e di una fiducia, forse eccessiva, nello strumento della giustizia universale. Sulla scia di tribunali Onu come la Corte per l’ex Jugoslavia o quella per il Ruanda, si è creduto molto nel principio di giustizia universale e soprattutto nella possibilità di “world governance”, una sorta di evoluzione dei principi sanciti nella Carta Onu. La Corte penale dell’Aja, pur non essendo un tribunale Onu, avrebbe dovuto rappresentare proprio questo: un passo avanti nel superamento degli stati nazionali attraverso la cooperazione.

Purtroppo quel periodo di relativo ottimismo è un ricordo del passato e il bilancio dei primi 19 anni dell’Icc lascia aperti interrogativi sull’efficacia di un tribunale con poca capacità operativa indipendente, all’alba di un’epoca storica segnata da ben poca attitudine al dialogo da parte degli Stati.

Sicuramente il traguardo dei 124 stati che oggi accettano la giurisdizione della Corte è significativo, ma anni di tensioni con l’Africa – spaccata sull’adesione alla Corte con sede nei Paesi Bassi –  le dimostrazioni di forza di alcuni paesi come il Sudan e la pesante crisi dell’Onu, organismo a sé, ma fondamentale infrastruttura per il funzionamento della Corte (il Consiglio di Sicurezza può infatti riferire, come nel caso della Libia, all’Icc indagini per crimini contro l’umanità) hanno messo una seria ipoteca sul futuro del primo tribunale universale della storia. Probabilmente la Corte non sparirà dalla mappa delle organizzazioni con sede a l’Aja, ma rischia di essere ridotto all’irrilevanza: d’altronde in un periodo in cui la tutela dei diritti umani viene etichettata con disprezzo “buonismo”, sembra non esserci posto per una giustizia che esuli dall’intervento diretto degli stati.

In questo senso è significativo l’orientamento della comunità internazionale: il tribunale per i crimini nella Repubblica Centrafricana potrebbe essere una corte “mista”, ossia con l’influenza della giurisdizione nazionale e di quella internazionale mentre il perimetro del futuro organismo con il compito di portare alla sbarra per crimini contro l’umanità gli autori delle atrocità in Siria, potrà essere definito solo con il nullaosta della politica.

E’ un evidente arretramento e un segnale che i risultati raggiunti fino ad oggi, magari scarsi e controversi, vanno difesi ad ogni costo.

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