Rocco Schirripa è stato condannato all’ergastolo come esecutore materiale dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, assassinato dalla ‘ndrangheta nel 1983 a Torino. Lo ha deciso la Corte d’Assise di Milano al termine del processo (ripartito da zero dopo un vizio formale) a carico del 64enne ex panettiere, arrestato nel dicembre 2015 a oltre 30 anni di distanza dai fatti. Per l’omicidio è stato già condannato in via definitiva come mandante Domenico Belfiore, dell’omonimo clan.

Questa mattina l’imputato aveva rivolto un appello ai giudici: “Sono il capro espiatorio che l’accusa voleva trovare a tutti i costi. Non c’è niente di più facile che dare la colpa a uno che ha precedenti con la giustizia e che è calabrese. Sono terrone e sono compare di Domenico Belfiore (già condannato in via definitiva all’ergastolo come mandante dell’omicidio del magistrato, ndr) – ha aggiunto l’imputato – dunque sono il soggetto perfetto per l’accuse”. L’ex panettiere aveva ribadito la sua “innocenza” e ha annunciato anche che, in caso di condanna, inizierà “lo sciopero della fame”. Il pm Marcello Tatangelo aveva chiesto l’ergastolo per Schirripa, arrestato nel dicembre 2015 dopo oltre 30 anni dai fatti. 

“Sono consapevole del rischio dello sciopero della fame – aveva detto Schirripa – ma sono sicuro che la mia famiglia mi comprenderà. Meglio piangere una volta che per tutta la vita”. Schirripa aveva aggiunto che in questo processo “non ci sono prove concrete” contro di lui, ma che si sarebbe dovuto percorrere “altre strade” nella ricerca del killer di Caccia. “Non sono un uomo spietato e senza cuore, ma un padre di famiglia che ha avuto problemi con la giustizia”. Secondo l’accusa Schirripa avrebbe freddato a colpi di pistola il procuratore torinese Bruno Caccia, come “prova di coraggio” per affiliarsi alla ‘ndrangheta. Schirripa, come ricostruito nella requisitoria del pm nelle scorse udienze, “è oltre ogni ragionevole dubbio” l’esecutore materiale dell’omicidio, che fu la prova della sua fedeltà a Domenico Belfiore, a capo dell’omonimo clan e già condannato all’ergastolo in via definitiva come mandante. Un errore procedurale della Procura, lo scorso 30 novembre, aveva portato all’annullamento del processo a carico di Schirripa che era già in corso e che poi è dovuto ripartire da capo. Oggi si conclude in primo grado.

Si dicono soddisfatte, ma probabilmente solo a metà, Paola e Cristina Caccia, le figlie di Bruno Caccia. “La giudichiamo una sentenza giusta -dice Paola Caccia – ma speriamo che non finisca qui. Ci sono ancora tante cose da indagare e verità da aggiungere” le fa eco la sorella Cristina: “Che siano passati così tanti anni fa impressione. Oggi è stato fatto un passo in avanti ma ancora non è stata fatta tutta giustizia. “oi familiari abbiamo insistito tanto – aggiunge ancora Paola- e mi fa un po’ arrabbiare che siano i familiari a pungolare, a chiedere e sollecitare che si vada avanti”. La famiglia, spiega ancora Paola Caccia “aveva indicato indizi e responsabilità in una pista che era compatibile con quanto emerso in questo processo che era a carico solo di Schirripa. Ora speriamo si vada avanti“.

Articolo Precedente

Yara Gambirasio, accusa e difesa a confronto: dalla prova del Dna al movente sessuale

next
Articolo Successivo

International criminal justice day, la fiducia nei tribunali universali

next