“L’alta dirigenza di Banca popolare di Vicenza è stata rinnovata. La banca ha recentemente deliberato la trasformazione in S.p.A., un aumento di capitale e la quotazione delle azioni; ciò assicurerà trasparenza alla formazione del prezzo e liquidità all’investimento in azioni”. Questo scriveva la Banca d’Italia in un comunicato stampa dell’ottobre 2015 teso a chiarire i presunti “malintesi” e i “presupposti sbagliati” sulla base dei quali è stata più volte chiamata in causa nella vicenda dell’istituto vicentino. Poco più di un anno e mezzo dopo, a disastro consumato, Via Nazionale torna sull’argomento con un documento sulle due banche venete in cui retoricamente si fa delle domande per dare al pubblico delle risposte preconfezionate, tese unicamente a ribadire che l’autorità di vigilanza ha operato bene e con tempismo e che le gravi scorrettezze commesse dagli amministratori delle due banche venete si sono consumate solo negli ultimissimi anni e sono state scoperte dalla vigilanza praticamente in tempo reale.

Sarebbe bello, peccato che sia una favola cui ormai non crede più nessuno. La trama non cambia, ma cerca piuttosto di adattarsi alle nuove circostanze. Nell’ottobre 2015 la Banca d’Italia raccontava ai cittadini che “l’alta dirigenza della Banca popolare di Vicenza è stata rinnovata” anche se non era vero, perché Gianni Zonin ha continuato a presiedere l’istituto fino a fine novembre e con lui in consiglio sedevano ancora diversi indagati. Ma non è questo il punto: la banca si trovava già in un’evidente situazione di dissesto e la Banca d’Italia cosa diceva ai cittadini? Che le recenti misure adottate, vale a dire le delibere di trasformazione in spa, di aumento di capitale e di quotazione delle azioni assicureranno “trasparenza alla formazione del prezzo e liquidità all’investimento in azioni”, come se avessero davvero potuto essere realizzate. A ben vedere, per realizzarle ci si sono messi d’impegno in molti: la stessa Banca d’Italia, il Tesoro e la Consob che ha dato il via libera a un prospetto informativo i cui unici numeri giusti erano probabilmente quelli delle pagine.

Un tentativo di stangata a danno del cosiddetto “parco buoi” che è fortunatamente fallito, grazie anche al ruolo svolto da parte dell’informazione e alle prese di posizione di moltissime associazioni di consumatori. Immolato sull’altare l’agnello sacrificale denominato “Atlante” (che aveva in pancia una cospicua quota di fondi pubblici presi da Cassa depositi e prestiti e dagli assicurati di Poste Vita), in meno di un anno si è ritornati al punto di partenza, con due banche sull’orlo del precipizio e nessuna idea del come fare a salvarle. Significativo che nel nuovo documento a domanda e risposta della Banca d’Italia non si dica sostanzialmente nulla a questo riguardo. Per contro, l’istituto centrale esalta la seconda iniezione di capitale del fondo Atlante nelle due banche venete (938 milioni di euro, oltre ai 2,5 miliardi già spesi) perché è servita a “finalizzare una importante transazione con oltre il 70% degli azionisti, senza la quale i rischi legali sarebbero stati insostenibili per qualsiasi acquirente”.

In pratica una seconda stangata ai danni di chi era stato truffato e aveva perso già sostanzialmente tutto e che per un piatto di lenticchie ha rinunciato anche a far valere i propri diritti: nonostante settimane di campagna pressante in cui si sono spesi tutti (dal governo a diversi esponenti delle autorità di controllo per non parlare di certi giornali) per convincere gli azionisti ad aderire, la soglia “minima” dell’80% non è stata neanche raggiunta. Il problema, e la Banca d’Italia così come il Tesoro lo sanno benissimo, non era affatto il contenzioso potenziale (che come abbiamo visto è finito nella bad bank e non è stato certo assunto da Intesa Sanpaolo), ma il fatto che le due banche fossero ormai sostanzialmente fallite.

Ma questo non sta bene dirlo, non è funzionale alla narrazione di Via Nazionale. Così la favoletta, del tutto dimentica del fallito progetto di quotazione, racconta ora che le due banche hanno presentato un progetto di ristrutturazione che prevedeva la fusione e che a fronte della mancata disponibilità di privati (e dell’azionista pressoché unico, il fondo Atlante) a finanziarlo, hanno chiesto a marzo di essere ammesse a ricapitalizzazione preventiva da parte dello Stato. In realtà era da mesi che ci si lavorava e il governo italiano ha sostenuto in tutte le sedi che nel caso delle due banche venete così come in quello di Mps ricorrevano i presupposti per avvalersi di questa deroga rispetto alla direttiva Brrd. A inizio aprile la Bce è arrivata a dichiarare “solvibili” le due banche venete salvo poi, due mesi dopo, dichiarare il contrario. La Banca d’Italia si limita a liquidare l’accaduto così: “L’abbandono dell’ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale è stato determinato dalle valutazioni delle autorità europee in materia di perdite ‘probabili nel futuro prossimo’ – un concetto introdotto dalla nuova normativa sulla gestione delle crisi, che ne impone la copertura con capitali privati – e sul piano di ristrutturazione delle due banche venete”.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: lo Stato interviene con 17 miliardi accollandosi la parte “malata” e tutti gli oneri anche futuri, mentre Intesa Sanpaolo si aggiudica per un euro quella “buona”. E la favoletta di Via Nazionale si adatta alla perfezione a questa nuova realtà, raccontando ora che i crediti deteriorati verranno recuperati a prezzi ben maggiori di quelli che il mercato è disposto a offrire e che tutto ciò consentirà di recuperare nel tempo i soldi spesi. Anzi, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno abbiamo fatto un affare perché ogni ipotesi alternativa sarebbe risultata più costosa. Resta però un dubbio che gli occhiali rosa non riescono a fugare: era proprio questa la soluzione desiderata da Via Nazionale o avrebbe preferito la ricapitalizzazione preventiva che – ahinoi – le autorità europee hanno bocciato? O piuttosto avrebbe voluto vedere Popolare Vicenza e Veneto Banca sbarcare in Borsa in pompa magna sostenute da un forte azionariato popolare destinato a essere di lì a poco tosato? Ah saperlo.

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