È stato diffuso di recente il Rapporto sull’antisemitismo in Italia nel 2016 dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC. L’archivio dell’Osservatorio possiede la più ricca biblioteca italiana di testi antisemiti (circa 500 volumi) pubblicati dal 1945 ad oggi. Certamente, se tale raccolta fosse per davvero completa, servirebbe – verrebbe da dire – una superficie non inferiore a quella del deserto del Sahara per ospitare i testi dei molti che, invocando ideali supremi, finiscono per indulgere nel Jew bashing (colpisci l’ebreo), in tutte le sue molteplici varietà.

Nella relazione si asserisce che in un clima di insicurezza sociale aumenta anche il disorientamento informativo, per poi soffermare l’attenzione non tanto sugli atti di violenza di matrice xenofoba, ma piuttosto sulla diffusione di stereotipi antisemiti attraverso il web. Un fenomeno antico che, dotandosi di nuovi strumenti, volge in termini qualitativi l’incremento quantitativo.

Si apprende che ogni 83 secondi viene pubblicato sul web (social network, siti internet, forum, blog) un post antisemita, per un totale di quasi 400.000 post antisemiti nel solo 2016, in tutte le lingue. Fanno ritorno gli stereotipi antiebraici di stampo nazista e si assiste alla contemporanea negazione o minimizzazione della Shoah, che rivela senza dubbio un minore rispetto della memoria in confronto agli anni passati, accompagnate da immagini che richiamano spudoratamente gli stereotipi nazisti (dall’accusa del potere ebraico, al dominio del mondo, all’accusa di complottismo).

Proprio questo giornale ha denunciato, nel 2012, la comparsa di tale fenomeno nei gruppi neonazisti. Appare inquietante che siffatta deriva colpisca ormai, indistintamente, frange di destra e di sinistra, che politicamente si ritrovano allineate nella propaganda antiebraica e la trivializzazione trova la sua libera espressione nelle affermazioni razziste e antisemitiche negli stadi e sui muri delle città.

Un salto di qualità nel deterioramento, che si ritrova anche nella propaganda anti-israeliana, che quest’anno ha raggiunto una virulenza senza precedenti. Si ribalta la storia del nazismo sulla politica dello Stato d’Israele, con la sua più paradossale espressione nel tentativo di boicottaggio (anche accademico e culturale) che va sotto la sigla “BDS-Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni”, che ha appena raccolto l’endorsement dell’organizzazione terroristica Hamas e che è curiosamente rivolto solo nei confronti dello Stato d’Israele, mentre rimane indifferente alle violazioni dei diritti umani del resto del mondo.

L’allora primo ministro italiano Matteo Renzi definì questo fenomeno, “sterile e stupido”.

Non a caso, il 2016 è stato definito l’anno della post verità: l’Oxford Dictionary, ha scelto come “parola internazionale dell’anno” la cosiddetta “post-truth”, un sostantivo che riguarda le circostanze in cui i fatti obiettivi (e la storia, aggiungiamo noi) sono meno influenti sull’opinione pubblica dei richiami alle emozioni e alle credenze personali. Ignoranza, indifferenza e pregiudizio fanno da sfondo ed alimentano queste forme di post verità.

Il Rapporto, alquanto chiaro e per nulla sbilanciato, andrebbe letto; proprio perché scioccante nella sua impersonale descrizione, potrebbe far davvero riflettere. Ilya Ehrenburg sosteneva che avrebbe continuato a professarsi ebreo finché al mondo fosse rimasto anche un solo antisemita; se fosse dipeso da quanto emerge da questo rapporto, sarebbe rimasto ebreo molto a lungo.

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