Luca De Fusco sfoggia un’eleganza da gentiluomo napoletano, vestito di lino chiaro sartoriale e camicia azzurra che si intona con gli occhi. Sale sul palco della Cavea Grande di Pompei, saluta commosso il pubblico e ringrazia le maestranze. È l’ultima delle cento repliche di Orestea portata in tournée in lungo e in largo per l’Italia. Un record di presenze per una tragedia classica che dura quasi quattro ore e quasi quasi non basterebbero per raccontare la faida familiare funestata dagli dei. Con l’Orestea di Eschilo il De Fusco regista ha inaugurato la rassegna Pompei Theatrum Mundi: obiettivo del neo direttore Massimo Osanna è quello di (ri)portare Pompei, dopo anni di degrado, al centro del mondo culturale. Quello che il fuoco fermò nel 79 d.c. e la cenere ha conservato deve ritornare a splendere. E noi osanniamo al Massimo. Già è uno splendore arrivare al tramonto sotto un cielo tinteggiato di rosa, percorrerla senza l’invasione di turisti sudati, canottierati e ciabattati. Il resto ce lo regalano l’allestimento, grandioso, e i costumi, raggianti. Una tragedia che riflette temi attualissimi, matricidio, infanticidio, uxoricidio, vendette, persecuzioni, lotte di potere: Agamennone sacrifica agli dei sua figlia Ifigenia per propiziarsi la vittoria su Troia. Ritorna vittorioso ma la moglie Clitemnestra e il suo amante Egisto (tra l’altro cugino di Agamennone) per vendicare Ifigenia lo ammazzano a colpi d’ascia. Oreste, figlio di Agamennone, uccide la madre e l’amante.

La recitazione di Angela Pagano, capessa delle Coefore (coloro che portano libagioni sulle tombe) è commovente, 80 anni di cui 60 di proscenio. Debuttò ragazzina nella compagnia di Eduardo De Filippo. Alessandra Felli, ineccepibile assistente alla regia, se la coccola dietro le quinte e insieme ripetono le battute di un copione impegnativo. Jan Fabre è un simpatico, visionario e provocatorio, signore belga di mezza età  che si mette in testa un’antenna da Eta Beta per farsi intervistare nel video art presentato alla galleria Trisorio. In mezzo a un’installazione di cervelli vivisezionati, sviscerati, siliconati annuncia: “Il cervello è la parte più sexy del nostro corpo”. Se lo dice lui fa intellettual-chic, se lo dice un altro fa banale.  Napoli Teatro Festival accoglie l’artista in quattro tappe (presente le matrioske russe, un evento rimanda all’altro). Partendo dal titolo della mostra, My only Nation is Imagination, al teatro Politeama Fab con una maratona teatrale di 3 ore e 20 rende un omaggio dissacrante alla sua terra natale, le “Belgian Rules” di uno stato/nano come lo chiama lui “che dà rifugio a imbroglioni e scansafatiche, che bevono fino a farsi scoppiare la pancia. Benvenuti a Assurdilandia”. E al Museo di Capodimonte mette in scena due opere realizzate interamente con gusci di scarabei e al Madre una scultura iconica, The man who measures the Clouds.

Nudi e statuari, chiappe al vento e corpi aggrovigliati che si attortigliano e si srotolano in sequenza sul palcoscenico. Il messaggio di The Great Tamer è fin troppo esplicito da farsi enigmatico. Cosa vorrà dire? Amatissimo dalla critica, Dimitris Papaioannou, regista greco di culto, diventa una specie di domatore nel circo assurdo dell’esistenza, così hanno scritto. Comunque quei bronzi di Riace, in carne e passi di danza, sono stati proprio un bel vedere. Puro voyeurismo. Interscambi culturali: dal Napoli Teatro Festival, Mimmo Borrelli, il drammaturgo in dialetto puteolano che piace tanto a Santoro e a Toni Servillo, vola ‘co viento ‘mpoppa al Festival di Asti. Otto minuti di applausi che danno ebbrezza alla stanchezza per il suo travolgente Napucalisse dove interpreta con tanto di ali nere, un lucifero conficcato nelle viscere magmose del Vesuvio. E non è stato neanche sottotitolato! E loro cosa ci danno in cambio? Una saga del Salvini in salsa leghista!

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