Ho perso un’altra occasione buona. Pran pran.
Non poteva che cominciare così, Modena Park, la festa per i quarant’anni di musica di Vasco Rossi. Con quella Colpa d’Alfredo, canzone ironica e vera summa vascorossiana, che evocava già a inizio anni Ottanta proprio il nome di quello che sarebbe diventato il concerto senza fine, per dirla con le parole dello stesso Blasco sul palco, l’evento epocale.
Abito fuori Modena, Modena Park, diceva Vasco alla tipa che, nella storia raccontata nella canzone, gli chiedeva un passaggio a casa, passaggio che poi l’improvvido arrivo di Alfredo avrebbe vanificato. Chissà se stasera Alfredo è qui, in mezzo a questa marea di anime, così tante da rendere il Modena Park il “quattordicesimo comune d’Italia per popolazione”, spodestando momentaneamente Padova coi suoi duecentonovemila abitanti.

Ho perso un’altra occasione buona. Pran pran.
Modena Park, un nome che in realtà, fino al primo luglio 2017 non aveva una collocazione geografica, perché come lo stesso Vasco ci ha raccontato nel libro Da rocker a rockstar, era un suo modo per parlare della vita frenetica di quegli anni lì, in cui Modena, la città in cui il nostro era arrivato dalla natia Zocca, era una sorta di Luna Park, accesa ventiquattro ore su ventiquattro.
Modena Park, quindi, così si chiamerà da oggi il Parco Enzo Ferrari che ha ospitato l’evento, un concerto di tre ore e mezzo, trentasette canzoni in scaletta, duecentoventimila, forse anche duecentotrentamila spettatori di fronte, il popolo del Blasco.

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