Il 26 giugno del 1967 moriva Lorenzo Milani, prete, maestro, profeta e rivoluzionario. La rivoluzione di don Milani era culturale, l’unica in grado di determinare un profondo cambiamento personale e sociale. Sui banchi di Barbiana si edificava un progetto di società in cui nessuno deve restare indietro, dove ogni creatura, soprattutto la più svantaggiata, doveva essere consapevole dei propri diritti e della forza di essere cittadino e non suddito.

Serve a poco ricordare il priore di Barbiana se non si attualizza e concretizza il suo insegnamento. La visita a Barbiana del Papa è stato un gesto simbolico significativo e commovente; dopo 50 anni il Vaticano nel suo plateale e colpevole ritardo, ha omaggiato la grandiosità di don Milani con Francesco, un papa umile che ha conosciuto e incontrato i poveri. Dopo la sua visita sarebbe auspicabile seguisse un gesto concreto come la destituzione di quell’istituto dei cappellani militari con cui don Lorenzo polemizzò.

Un ordine antitetico al messaggio del Vangelo dato che le guerre sono combattute dai popoli ma vengono innescate dai potenti al fine di accumulare ricchezze e risorse. Celebrare il cinquantennale della sua dipartita rischia di essere una festa senza il festeggiato se non si coglie il suo stimolo a sovvertire quei meccanismi elitari che ieri, ma ancor più oggi, determinano diseguaglianze e ingiustizie.

Temo che dopo tanti anni non si sia ancora compresa l’inestimabile eredità che ci ha lasciato e questo perché le sue parole sono scomode per tutti e non solo per le élite religiose e politiche che lo hanno tormentato in vita. Il suo è un fermo invito ad agire, ad essere coerenti, a partecipare pragmaticamente al cambiamento, a distaccarsi da ogni forma di omologazione e dalle proprie sicurezze culturali ed economiche. Per questo don Milani, come il suo Gesù di Nazareth è stato un vero rivoluzionario.

Una rivoluzione che lui ha realizzato prima di tutto individualmente. Rampollo di una ricca e acculturata famiglia di origini ebraiche, si è liberato dal suo vissuto per celebrare con coerenza la sua scelta di campo al fianco degli impoveriti. Come scrive don Luigi Ciotti, nella postfazione del prezioso libro di Michele Gesualdi (Don Milani l’esilio di Barbiana), che insieme al fratello Francuccio, ha vissuto con il priore: “Don Milani ha insegnato che non si può combattere la povertà materiale senza una formazione delle coscienze, senza un’educazione alla ricerca”.

Una formazione che però è mancata. Ogni anno trascorso dalla morte di don Lorenzo, la sperequazione sociale è progredita in maniera esponenziale. Le diseguaglianze e le ingiustizie si sono globalizzate e cristallizzate. Oggi, ancor più dei tempi in cui ha vissuto don Milani, si è vittime di un conformismo culturale che è degenerato in pensiero unico. I suoi testi sono un antidoto all’avvelenamento sociale che mira a renderci tutti individui inconsapevoli, fatti in serie come lattine della Coca Cola.

Nel tempo odierno, in cui si combattono pianificate guerre tra poveri, dove razzismo e paure incontrollate ribollono nel tessuto sociale, le sue parole risultano ancora una volta profetiche. A 50 anni dalla sua morte bisogna cogliere il suo invito alla disobbedienza. Occorre disobbedire prima di tutto a questa classe politica incolta e parassitaria che semina paure e divisioni e che rappresenta gli interessi solo di banche e multinazionali.

Don Milani insegnava ai suoi ragazzi che la verità pur essendo una sola, nessuno la può possedere del tutto, ognuno ha il privilegio di averne un pezzetto e solo unendoli insieme, come si fa con un puzzle, si può scorgere quel disegno d’insieme dove il tutto è uno, a prescindere da ogni provenienza e condizione sociale. Ecco l’importanza per il priore della scrittura collettiva e la celebre affermazione riportata in Lettera a una professoressaHo imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.

A 50 anni dalla sua morte da più parti si ritiene che inizierà il suo processo di beatificazione. Io mi auguro che questo non accada. Don Milani era un uomo che aveva compiuto la sua umanità, oggi nel processo di disumanizzazione in atto servono esempi di uomini autentici come lui e non santini da attaccare alla parete per pacificare la propria coscienza sporca.

Articolo Precedente

Versilia: la mia non è fatta di miliardari bolliti, ma di poeti in movimento

next
Articolo Successivo

Droghe, nell’VIII Libro bianco il quadro delle folli politiche italiane contro le sostanze

next