di Carblogger

Si può sospendere e poi far fuori il ceo di una società che vale quasi 70 miliardi di dollari, con alle spalle azionisti come Goldman Sachs e l’Arabia Saudita? Si può. Il We can di matrice obamiama è sopravvissuto. Travis Kalanick, ceo di Uber, 40 anni, da ragazzo appassionato di calcio, è stato costretto dai suoi a farsi da parte. Perché “scherza col fuoco”, notava un mese e mezzo fa il New York Times in un lungo articolo premonitore di una caduta, in cui c’è scritto tutto ciò che c’è da sapere sull’uomo e sull’imprenditore della Silicon valley più discusso e discutibile del momento.

Kalanick è finito prima in panchina a tempo indeterminato, ora è fuori. Tocca ad altri provare a cancellare i danni di immagine (e di mercato) da lui provocati con una gestione e una cultura a dir poco aggressive e sessiste della sua app di taxi privati (c’è chi l’ha portato in tribunale, come la divisione Waymo di Google, per la guida autonoma). Un’ app famosa nel mondo e famigerata fra tutti i tassisti (per supposta concorrenza). Kalanick forse potrebbe tornare, in fondo ha il pieno controllo delle quote, governando con un pugno di amici.

Ma la luna di miele di Uber è finita. Se avete finito di leggere il pezzone sterminato del New York Times, aggiungo solo un paio di annotazioni:

1. Nel dibattito seguito alla depressione da mutui subprime se fossero più arroganti i banchieri di Wall street o le felpe californiane (copyright di Riccardo Ruggeri, qui tutto di lui, contributor di Carblogger.it), ho fermato il pendolo sui secondi. Almeno i banchieri non ci dicono: vogliamo salvare il mondo: “I also need to work on Travis 2.0 to become the leader that this company needs and that you deserve”, ha scritto Kalanick ai suoi dipendenti in una mail, parlando di sé in terza persona con un distacco spaziale.

2. Uber è ormai un sistema di lavoro dei nostri tempi, su cui vale la pena discutere. Un sistema in cui questa società del digitale si prende una quota fissa su ogni corsa (a partire dal 20%), mentre agli autisti toccano tutti gli oneri – proprietà dell’auto, costi di gestione, usura del mezzo, eventuali incidenti, oltre a un lavoro a cottimo, cioè più sei sulla piazza più guadagni. Naturalmente, senza nessun diritto e, per alcuni, senza tetto, né legge, Uber ti può licenziare in qualsiasi momento. Toccherà ai robot, quando arriveranno, mettere una pietra sopra ai problemi di etica?

Kalanick è stato a suo modo “uberizzato”: ha sballato lavorando in violazione di qualche (sua) regola e ora l’app lo ha disconnesso. Come capita agli autisti di Uber che la fanno grossa. O che non portano a casa i risultati richiesti.

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