Quella del dieselgate Volkswagen è diventata una storia infinita, con sequele irriducibili per frequenza e “intensità”: la questione è diventata inevitabilmente anche politica, generando un vero e proprio braccio di ferro fra USA e Germania.

L’ultimo atto in questo senso (perlomeno in ordine di tempo) risale a poche ore fa: le autorità giudiziarie d’oltreoceano hanno infatti emesso un mandato di cattura internazionale per accertare la responsabilità individuali di cinque ex manager di Volkswagen, come riporta la Süddeutsche Zeitung.

Difficilmente la Germania consegnerà agli USA i “latitanti” in questione, che però saranno a rischio di arresto appena varcati i confini del proprio paese. Una decisione, quella americana, che certamente non aiuta nemmeno a distendere i gelidi rapporti fra Mr. President Trump e la cancelliera Merkel (“I tedeschi vendono troppe auto in USA, vanno fermati”, ndr.). Senza contare che uno dei cinque ricercati collabora già con la giustizia tedesca, impegnata a portare alla luce del sole tutte le trame di questa vicenda ancora avvolta da molte ombre.

Nel frattempo Oliver Schimdt, manager tedesco di Volkswagen, è dietro le sbarre in USA dall’inizio dell’anno: e questo la dice lunga sulle (pochissime) remore che gli americani avrebbero nel mettere in cella altri elementi più o meno importanti nell’organigramma dello scandalo emissioni VW.

Certo è che il sopracitato mandato di cattura ha una perfetta specularità con le intenzioni protezionistiche del tycoon, intenzionato a spingere al massimo il concetto di “buy american”, specie quando si tratta dell’industria delle quattro ruote. Un messaggio arrivato forte e chiaro anche ai costruttori “colpevoli” di produrre al di fuori degli USA, che nella maggioranza dei casi si sono affrettati a correggere il tiro.

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