Si è chiuso il processo a carico di Marco Prato per la morte dell’imputato. Una fine dichiarata dalla presidente della Prima corte d’Assise di Roma, Anna Argento, nel giorno in cui il complice di Manuel Foffo – già condannato con rito abbreviato a 30 anni per l’omicidio di Luca Varani – era atteso in aula. Ma Prato si è suicidato nella notte tra il 19 e il 20 giugno nella cella del carcere di Velletri, alla vigilia del processo. I giudici hanno disposto la confisca di tutti i reperti agli atti e la restituzione dell’appartamento in via Igino Giordano, di proprietà di Foffo, che era finito sotto sequestro. E’ lì che il 23enne è stato ucciso a colpi di martello e coltellate il 4 marzo 2016.

Nell’ultimo messaggio che ha lasciato in carcere prima di togliersi la vita, si era di nuovo detto innocente, e aveva scritto di non riuscire più a sopportare l’attenzione mediatica intorno al suo caso. Ma il suo testamento, scrive oggi Il Tempo, era stato scritto a poche ore dall’omicidio, quando si era nascosto nella notte tra il 5 e il 6 marzo 2016 nella camera 65 dell’Hotel San Giusto a piazza Bologna. Undici punti, secondo quanto riporta il quotidiano, che condensavano le sue ultime volontà. Tre fogli scritti a mano e indirizzati ai genitori, ai soci dell’agenzia di eventi A(h)però Matteo e Federico e agli amici. “Perdonatemi, non riesco. Sono stanco, una persona orribile. Ricordate solo il bello di me. Vi amo”. Il primo punto riguardava le esequie. “Fate festa per il mio funerale, anche se vorrei cerimonia laica, fiori, canzoni di Dalida, bei (sottolineato due volte) ricordi: una festa! Dovete divertirvi!!”.

Poi chiedeva di chiamare “Private & Friends, il centro di capelli a piazza Mazzini per rigenerarmi la chioma prima di cremarmi. Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna!”. Nelle ultime volontà chiedeva anche di organizzare “sempre, una volta alla settimana o al mese, una cena o un pranzo con tutti i miei cari amici e amiche che ho amato tanto”, “mettete Ciao amore ciao quando avete finito la festa per me e ricordatevi tutti assieme i miei sorrisi più belli”. Invitava a “buttare” il suo telefono e a distruggerlo “insieme ai due computer, nascondendo i miei lati brutti”. E ancora: “Tenete alto il mio nome e il ricordo, nonostante quel che si dica. Non indagate sui miei risvolti torbidi, non sono belli”. Poi la conclusione: “Sto male, o forse sono sempre stato così. Ho scoperto cose orribili dentro di me e nel mondo. Fa troppo male la vita e come io ho imparato mi è insopportabile. Non ne avete nessuna responsabilità”. Quindi, concludeva, “non sentitevi mai in colpa per tutto questo”.

Oggi in aula l’avvocato Pasquale Bartolo, difensore del pr di 31 anni morto suicida, ha dichiarato che il suo assistito “ci ha sempre detto e ribadito che aveva piena fiducia nei magistrati“. All’udienza era presente la famiglia e la fidanzata di Varani, Marta. “Ho registrato con pieno soddisfacimento il perfetto controllo emozionale da parte dei familiari di Luca Varani, i quali aggiungono: ‘dobbiamo proteggere i nostri figli e tutti i ragazzi da loro stessi'”, ha detto il consulente della famiglia, il professor Vincenzo Mastronardi.

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