Superato il bivio, la strada è deserta. Per chilometri e chilometri si incontrano solo bassi cespugli di macchia mediterranea arsi da sole e vento, o punteggiati dalla brina, a seconda delle stagioni. O d’un tratto appare uno sparuto gruppo di pale eoliche. Capita nel Sud Sardegna, quando ci si allontana dall’hinterland cagliaritano verso il Gerrei o il Sarrabus. Ed è una scena che si presenta con piccole varianti in tutta la Sardegna: nella pianura dell’Oristanese, nel Marghine, nella Barbagia di Seulo (nella zona di Nuoro), verso Sassari o in Gallura. Basta solo lasciarsi dietro l’arteria principale, unica superstrada che collega nord e sud dell’Isola, la “131”, la Carlo Felice. Dei 377 comuni sardi solo trenta superano o si avvicinano ai 10mila residenti, la gran parte si attesta su poche migliaia. Cinquanta paesi hanno meno di 500 registrazioni all’anagrafe.

Nella terza regione italiana per estensione – dopo la Sicilia – con 24mila e 100 chilometri quadrati vivono in tutto un milione e 600mila abitanti contro i 5 milioni della Sicilia. La densità di abitanti sardi si ferma a 68,8 per chilometro quadrato, contro i 196 della Sicilia: una differenza che sfiora il triplo. Ma non è solo questione di spazi vuoti: l’indice di vecchiaia è pari al 180,7 per cento. Il confronto è netto e segue la tendenza nazionale ma in modo più drastico e veloce: l’indice di mortalità è 10 per ogni mille abitanti, quello di natalità è 6,7 ogni mille abitanti. Questi e altri numeri, corredati da mappe, atlanti, un progetto fotografico e contributi di vari professionisti sono contenuti nel saggio Spop, istantanea dello spopolamento in Sardegna edito da LetteraVentidue nel 2016. Gli autori Francesco Cocco, Nicolò Fenu e Matteo Lecis Cocco-Ortu fanno parte del collettivo Sardarch e dal 2008 studiano appunto le trasformazioni urbanistiche. Una delle tendenze inesorabili è appunto lo spopolamento: fenomeno in divenire, termine al centro dell’agenda politica che fa nascere e moltiplicare convegni e tavole rotonde.

La Sardegna a ciambella, i paesi in via d’estinzione
L’immagine geografica del futuro è quella di una Sardegna fatta “a ciambella”: i centri delle coste che si affollano e al centro un enorme vuoto. Di più: secondo uno studio alla base del saggio Spop – autori il sociologo Gianfranco Bottazzi e il docente di statistica Giuseppe Puggioni dell’Università di Cagliari – ci sono 31 paesi a rischio estinzione. Tra sessant’anni, sostengono, semplicemente non esisteranno più. I primi segnali ci sono da tempo: alla base una cronica carenza di lavoro, le campagne via via abbandonate. E poi il classico cane che si morde con sempre più energia: pochi servizi e le famiglie che si spostano. I 31 paesi, nella cartina isolana, sono disposti quasi in diagonale.

In tutti lo spopolamento è un episodio più che ripetuto, reiterato. E la popolazione anziana supera il 40 per cento. Vanno dal Cagliaritano all’Ogliastra fino alla Gallura dell’interno, e c’è un gruppo di otto che forma un blocco a sud di Sassari. Hanno nomi storici o che derivano da una italianizzazione e tutti hanno meno di mille abitanti: Armungia, Seulo, Ussassai e ancora Semestene, Giave, Padria, Monteleone Rocca Doria. In alcuni casi sono comuni anche se i residenti sono appena 287, come succede a Borutta all’ombra della basilica San Pietro di Sorres, nel Sassarese.

La vita a intermittenza, il fiume costante dell’emigrazione
Le case si chiudono e i cartelli Vendesi – sbiaditi da sole – spuntano alle finestre. Non c’è nessuno dentro e gli eredi vivono lontano, quelli più vicini a volte tornano per il fine settimana. Gli altri per le ferie estive o chi è in pensione ci passa metà dell’anno: ma è una vita ad intermittenza. L’emigrazione non è un fenomeno nuovo: negli anni del boom economico si partiva in Germania, in Francia o nel Nord Italia a caccia di un posto in fabbrica. Secondo i dati Asei – archivio storico dell’emigrazione – tra il 1955 e il 1971 il numero degli espatri sardi si attesta sulle 400.982, di cui 307.759 in Italia e 93.223 all’estero e si tratta di numeri parziali a cui si aggiungono le partenze “libere” di singoli, non organizzate. Dal 2000 cambiano le professionalità ma la tendenza è la stessa: a partire ovunque sono i laureati che cercano un lavoro qualificato. Quelli che sono stati ribattezzati cervelli in fuga, non necessariamente giovanissimi: dal 2009 al 2011 il Centro studi della Cna Sardegna ha rilevato la partenza di 11mila sardi. Il 2014 è diventato – poi – l’anno record con 7200 partenze (dati report Acli).

Sulla strada, i paradossi dei paesi fantasma
Il nostro Spop-tour parte da Cagliari – città capoluogo – verso il Gerrei – regione storica del Sud della Sardegna in cui si concentrano due dei micro paesi a rischio estinzione. Passiamo da Senorbì, cittadina della Trexenta, e facciamo una prima tappa a Goni (492 abitanti). Una strada principale passa davanti a un sito archeologico importante: Pranu Mutteddu in cui si allineano decine di menhir. Ma il turismo di massa qui non arriva. Via via si arriva al centro storico: municipio, di lato le poste aperte a giorni alterni e poco via vai. Ci sono pure tre negozi alimentari, un bed & breakfast, l’edicola-tabacchi. E una scuola nuova, ma chiusa.

È uno dei tanti paradossi dello spopolamento e della vita di questi paesi: perché, per esempio, Goni non è a rischio “estinzione”. Ma i 28 alunni (tra elementari e medie) non bastano per tenere aperto – nemmeno in modalità pluriclasse – secondo i criteri regionali del dimensionamento scolastico. Quindi, dopo una lunga battaglia, e addirittura l’occupazione in autogestione con i genitori che facevano da bidelli e insegnanti, è arrivata la resa. Dopo un mese di assenza dalle lezioni “ufficiali” i ragazzi sono stati sparpagliati nelle scuole dei paesi vicini. E fanno la spola, ormai pendolari. Nelle aule chiuse ci sono finestre nuove di zecca: montate a fine settembre, e a disposizione c’è una palestra con parquet e campo di calcio esterno. Tutto nuovo, finanziato con soldi pubblici – della Regione – e consegnati nemmeno un anno fa. Ma le lezioni e le partite si fanno altrove: alcuni vanno ogni mattina a Ballao: 14 chilometri verso la valle del Flumendosa. Qui le scuole sono aperte, ma è uno dei paesi a rischio con 831 abitanti. Risalendo la collina, ancora tornanti e curve ecco Armungia, secondo paese che secondo gli statistici non dovrebbe più esistere tra sessant’anni. Sarà così?

Tentativi di resistenza e le case a un euro
La via principale – e tutte le strade laterali – sono dedicate a Emilio Lussu, nato in questo paese che ora ha 481 abitanti. Storico fondatore del Partito sardo d’Azione, comandante della Brigata Sassari durante la prima guerra mondiale poi antifascista, intellettuale, deputato, ministro. Da qualche anno suo nipote Tommaso si è trasferito qui da Roma, ha aperto un b&b nella storica casa del nonno e tenta di resistere, invertire il trend, far conoscere e animare questo angolo di Sardegna. Passo passo tenta l’innesto tra tradizione, innovazione con iniziative culturali e laboratori, come quello tessile, col telaio a mano. (Your) revolution is here con una freccia che indica il punto geografico: così recita un murales su un muraglione di cemento sulla strada ed è anche l’immagine profilo scelta da Tommaso su Facebook.

Stessi propositi un po’ più a nord, nel Nuorese, con l’iniziativa più istituzionale della vendita della case a un euro. Esperienza sperimentata in altre zone d’Italia e che qui muove i primi passi. A Ollollai, per esempio, e a Nule il passaggio simbolico – e poi il restauro concordato – ha portato soprattutto stranieri del tutto slegati dal contesto.

Il movimento social #paesitudine
Oltre a dibattiti, premi e raccolte di idee e progetti per arginare “il fenomeno” del momento in Sardegna, nei mesi scorsi c’è anche un moto social che raccoglie il fermento. Su Facebook da qualche mese è apparsa la pagina Paesitudine che raccoglie sprazzi di vita, suggestioni, citazioni e foto, ma non “cartoline”: per ora ci sono quasi 5mila sostenitori.

Ad animarla Emiliano Deiana il sindaco di uno dei paesi a rischio, Bortigiadas, Gallura dell’interno. La premessa è più poetica che politica, ma suona come un manifesto:  “Questo è, per ora, un non-luogo che ci parla dei paesi della Sardegna e, più in generale, di tutti i paesi”. Intesi – si legge – come “una possibilità e un delirio. I paesi – in Sardegna – rappresentano l’unica possibilità di un riscatto a portata di sguardo e di abbraccio. Sono, i paesi, dei punti del mondo, connessi col mondo e con le Città. Non sono l’antitesi della forma urbana: sono la forma urbana embrionale. Sono la Città prima della Città. La Paesitudine è il modo di raccontarli, i paesi. In un impasto sentimentale di gocce di solitudine e polvere”. La rivoluzione sarà lì?

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