L’ispirazione per scrivere Cent’anni di solitudine si dice gli sia venuta mentre guidava la sua Opel sulle strade fra Città del Messico e Acapulco. Stava portando la famiglia in gita quando di colpo trovò le parole per l’inizio del suo libro. Un impulso creativo troppo forte da contrastare. Così, facendo arrabbiare moglie e figli, Gabriel García Márquez fece inversione e tornò nella capitale per iniziare a scrivere il romanzo che lo renderà celebre in tutto il mondo e farà di Cent’anni di solitudine uno dei capolavori della letteratura del Novecento.
Primo di sedici figli, Gabriel García Márquez, per gli amici “Gabo”, trascorse l’infanzia ad Aracataca, un piccolo villaggio nella Colombia atlantica. Dopo gli studi giuridici iniziò a lavorare come giornalista collaborando prima come redattore di “El Universal” poi come opinionista a “El Heraldo”.

Sono anni difficili però per la Colombia governata dalla dittatura di Gustavo Rojas Pinilla. Il generale per controllare l’informazione e l’opinione pubblica sospende la pubblicazioni di giornali indipendenti. Inizia così un lungo peregrinare di Marquez che lo porterà anche qui da noi in Italia dove per alcune settimane frequenterà a Roma un corso al Centro sperimentale di cinematografia. Dopo aver lavorato a Caracas, Cuba e New York, alla fine Gabo si stabilirà a Città del Messico. Ed è proprio nella capitale messicana che concepirà il suo capolavoro. Prima di scrivere Cent’anni di solitudine, l’autore colombiano aveva pubblicato i romanzi Foglie Morte e La Mala Ora e il reportage Nessuno Scrive al Colonnello. Tutti degli ottimi romanzi lontani però dalla potenza evocativa e dall’impatto visivo di Cent’anni di solitudine.

Gabo ci impiega più di un anno e mezzo a scriverlo. Dopo svariati tentativi non è soddisfatto. Cerca un inizio per mettere nero su bianco le storie e le leggende che i nonni gli raccontavano da bambino nel villaggio di Aracataca. Alla fine mentre è alla guida tutto si fa più chiaro e l’incipit come un miraggio appare dal nulla. “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”. Uno degli inizi più belli della letteratura del Novecento. Un romanzo che nonostante sia stato pubblicato cinquant’anni fa merita di essere riletto e apprezzato nella sua totalità e che Mondadori ha riproposto pubblicandone una nuova edizione il 13 giugno con la nuova traduzione di Ilde Carmignani. Un romanzo che mette in scena la storia della famiglia Buendìa, con tutte le sue tradizioni, le sue storie e le sue vicende ambientandole a Macondo, luogo simbolo e magico in cui tutto si svolge sotto una patina di solitudine e desolazione. Ed è proprio la solitudine uno dei temi principali che caratterizza l’opera di Gabriel García Márquez. Il tempo che scorre inesorabile senza dare scampo ai personaggi, tutti alle prese con un destino già segnato e immutabile.

Un’opera corposa con un intreccio fitto e a tratti complicato. A guidare il lettore è la penna di Gabo che tra un labirinto di emozioni e avvenimenti tra le generazioni Buendia mette ordine e ricompone il filo narrativo. Marquez prende spunto dagli autori che più lo hanno ispirato nel corso della sua carriera. Troviamo Borges, Faulkner, Juan Rulfo, ma anche Virginia Woolf e Vargas Llosa. Associato per anni al genere del realismo magico, Cent’anni di solitudine è un romanzo che travalica i generi. Uno di quei libri senza tempo che tutti prima o poi dovremmo leggere nella nostra vita. Un’opera che gli varrà il premio Nobel per la letteratura nel 1982. Gabriel García Márquez si spegnerà il 17 aprile del 2014 all’età di 86 anni a Città del Messico. Il presidente della Colombia Juan Manuel Santos proclamerà tre giorni di lutto nazionale ringraziando a nome di tutto il Paese la grandezza e lo spessore intellettuale dello scrittore.

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