Il ministro indagato per violazione di segreto resta al suo posto. Il dirigente testimone che lo accusa, invece, deve essere rimosso. Per non cadere nella trappola delle mozioni che chiedono di rimuovere Luigi Marroni da amministratore delegato di Consip, il Partito democratico prova ad uscire dall’impasse. Il capogruppo a Palazzo Madama, Luigi Zanda, ha depositato un suo testo sottoscritto da tutti i senatori dem per chiedere di azzerare i vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione, al centro dell’inchiesta della procura di Napoli sull’imprenditore Alfredo Romeo, ora finita per competenza a Roma. Proprio in questi istanti a piazzale Clodio il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi stanno sentendo come persona informata sui fatti Luigi Ferrara, il presidente dei Consip citato nelle testimonianze davanti ai pm dallo stesso Marroni.

Il giorno X per i vertici della prima stazione appaltante d’Italia è il prossimo 20 giugno quando Palazzo Madama comincerà a discutere le varie mozioni depositate per chiedere di rimuoverlo  dal vertice della Consip. I primi a depositare una richiesta in questo senso erano stati i senatori di Idea, Gaetano Quagliarello e Andrea Augello.“Questo governo ci può chiedere di essere garantisti con il ministro Lotti, ma non può chiederci lo stesso nei confronti di Luigi Marroni“, dicevano nel marzo scorso, riferendosi alla mozione di sfiducia a Lotti respinta da Palazzo Madama il 15 marzo. Alla mozione di Quagliarello sono arrivate in seguito ben 73 sottoscrizioni, provenienti praticamente da tutti i gruppi parlamentari: Forza Italia, Lega, M5s, Gal, Ala, Alternativa Popolare, gruppo per le Autonomie, gruppo Misto.

Adesso arriva anche la mozione dei senatori dem, che in questo modo proveranno a neutralizzare quella di Quagliarello: i voti al momento sono sul filo. Nel suo documento il Pd non parla esplicitamente la defenestrazione di Mannoni ma chiede al Governo a “procedere in tempi celeri e solleciti al rinnovo dei vertici della Consip al fine di garantire la piena funzionalità della società e il raggiungimento degli importanti obiettivi ad essa affidati; ad esercitare tutte le funzioni e le prerogative di vigilanza e di indirizzo di competenza dell’azionista di riferimento al fine di garantire un rigoroso rispetto della legalità da parte degli amministratori della Consip, di salvaguardare l’immagine della società, anche tutelandone il profilo di azienda pubblica, e di promuovere il rilancio della stessa intorno ad un management qualificato ed estraneo alla vicenda giudiziaria in corso”.

Il riferimento alla “management estraneo alla vicenda giudiziaria in corso” sembra lasciare intendere un grave coinvolgimento di Marroni nell’indagine della procura di Roma. Dove, però, l’ad di Consip, non è neanche indagato ma è al contrario il teste chiave. L’ufficio inquirente capitolino, infatti, indaga sul ministro dello Sport, Luca Lotti, sul generale dei carabinieri, Emanuele Saltalamacchia, e su Tiziano Renzi, il padre dell’ex presidente del consiglio: i primi due sono accusati di violazione di segreto, il terzo di traffico d’influenze in concorso.

Ad inguaiarli è proprio Marroni, piazzato da Renzi nel giugno del 2015 al vertice della prima stazione appaltante d’Italia, e autore di un atto clamoroso il 15 dicembre del 2016: grazie a una bonifica, infatti, fa rimuovere le microspie piazzate dai carabinieri del Noe nel suo ufficio. Quattro giorni dopo gli investigatori della procura di Napoli vanno a chiedergli perché lo avesse fatto. Mannoni – come svelato da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano – risponde così: “Perché ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (amico di Matteo Renzi e presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e dei comuni toscani, Publiacqua, ndr), dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”.

Ma non solo. Perché Marroni nella sua testimonianza racconta anche di avere conosciuto Tiziano Renzi, alcuni anni prima, quando Matteo era sindaco di Firenze.  Dopo la sua nomina alla Consip, a giugno 2015, Tiziano Renzi a settembre si fa vivo. “Mi chiese di incontrarlo di persona, nella zona del Bargello. Mi disse che voleva chiedermi di ricevere un suo amico imprenditore: Carlo Russo che voleva partecipare a delle gare d’appalto indette da Consip; Tiziano Renzi mi chiese di fare il possibile per assecondare le richieste di Russo e di dargli una mano perché era un suo amico”. Anche l’imprenditore Carlo Russo, amico di Renzi senior, è indagato nell’inchiesta Consip per traffico d’influenze. Da quel momento, quindi, Marroni diventa un bersaglio per gli esponenti del Giglio Magico coinvolti nell’indagine. Negli stessi giorni in cui il Senato respinge la mozione di sfiducia a Lotti, gli avvocati di Renzi senior lo citano come testimone della difesa, con la speranza di trovare una crepa nelle sue dichiarazioni e quindi neutralizzare la sua testimonianza. Marroni non si oppone ma chiede di rispondere alle domande degli avvocati di Renzi senior soltanto davanti al pubblico ministero. Non se ne farà nulla.

Poi l’8 giugno viene sentito per la prima volta anche negli uffici della procura di Roma, che nel frattempo è diventato l’ufficio titolare dell’inchiesta. L’audizione del manager va avanti per ore e finisce solo dopo la mezzanotte. Bocche cucite a piazzale Clodio sul contenuto dell’interrogatorio di Marroni, sentito come persona informata sui fatti dal procuratore aggiunto Ielo e dal Mario Palazzi. L’unica certezza è che la posizione dell’amministratore delegato non è cambiata: ha in pratica confermato quanto messo a verbale davanti ai pm di Napoli il 19 dicembre. Dichiarazioni che hanno portato ad indagare su esponenti del Giglio Magico. Nessuna ritrattazione su Lotti e Renzi senior: e adesso il Pd chiede di rimuoverlo dal suo incarico.

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