La manovrina di primavera ha introdotto l’obbligo per le piattaforme come Airbnb di tracciare e comunicare allo Stato tutti i “contratti” conclusi con cedolare secca al 21% dagli host che affittano immobili. Cosa significa? Che i portali – e gli agenti immobiliari che fungono da intermediari tra turisti e proprietari – dovranno incassare la cedolare dall’host e riversarla poi all’erario. In attesa del via libera del Senato e dei regolamenti attuativi dell’Agenzia delle entrate, Airbnb fa muro e afferma: “Il problema non è tanto la cedolare in sé, che poteva già essere applicata, ma l’inquadramento dei portali come sostituti d’imposta”.

Per Airbnb, che fattura i suoi servizi dall’Irlanda, la natura di sostituto d’imposta comporterebbe l’obbligo di avere residenza fiscale – e quindi di pagare le tasse – in Italia. Si tratterebbe dunque di una violazione della libertà di stabilimento che la Ue garantisce alle piattaforme digitali, che molto probabilmente porterebbe Airbnb a fare ricorso in sede europea. Mettiamo per un attimo da parte gli affari del colosso californiano.

Quanto influiscono la cedolare secca e le altre tasse sul guadagno finale dell’host? Facciamo due calcoli facili facili: supponiamo che abbiate deciso di affittare il vostro appartamentino per due notti a 50 euro a notte. Sapete bene che la cifra 100 euro la vedrete unicamente sul monitor del pc e non sul conto. Al lordo, bisognerà sottrarre i 21 euro della cedolare secca e uno o tre euro di tassa di soggiorno, dove prevista. È notizia recentissima che il Comune di Milano firmerà a luglio un accordo con Airbnb proprio sulla tassa di soggiorno: due euro per ogni ospite a notte. Secondo l’associazione degli albergatori lombardi, vuol dire un milione e mezzo l’anno che finirà dritto nelle casse di Palazzo Marino. Anche il Comune di Genova ha da pochi giorni firmato il protocollo di intesa per raccogliere online l’imposta dovuta dai turisti che visitano il capoluogo ligure. È solo questione di tempo: un po’ alla volta tutti i Comuni introdurranno questa tassa, seguendo un meccanismo che è già realtà in molte città europee.

Torniamo al nostro calcolo. Alla cedolare secca e alla tassa di soggiorno bisogna aggiungere la commissione del portale, che nel caso di Airbnb di solito è del 3%, ma può arrivare anche al 5% a seconda dei termini di cancellazione selezionati dall’host. Supponiamo anche che il cliente vi chieda una ricevuta: serve una marca da bollo da 2 euro da applicare sulle ricevute fiscali per gli importi superiori a 77, 48 euro. Consideriamo poi un forfait di dieci euro, che comprende le spese per la colazione dell’ospite e la pulizia della stanza, da mettere in conto se non potete curare l’immobile da soli e dovete pagare qualcuno che vi dia una mano. Le società che si occupano di questo nuovo business stanno nascendo come funghi. La start up milanese Sweetguest, ad esempio, offre una gestione completa dell’immobile (commissione del 20%) e una gestione solo delle prenotazioni online (in questo caso la commissione è del 10%, ma restano in capo al proprietario accoglienza e pulizie).

Insomma, alla fine dei conti ci si può ritrovare con in tasca un netto quasi dimezzato. Esiste un modo per non pagare la cedolare? Sì, ma questo non vuol dire non pagare nulla, anzi. La cedolare è opzionabile: significa che si può non sceglierla e inserire il canone derivante dalla locazione turistica nella dichiarazione dei redditi, come si è fatto (chi l’ha fatto) finora. È palese che si tratta di un’alternativa conveniente solo nell’ipotesi in cui si paghi un’aliquota Irpef superiore al 21%: saranno questi proprietari i maggiori beneficiari della cedolare. Che avrà sicuramente una conseguenza: farà venire a galla, grazie al prelievo alla fonte, quasi tutto il nero che si è creato sui “redditi da Airbnb”. È la stessa logica che è stata applicata con la cedolare secca per le normali locazioni. Per anni Airbnb è stato un alberello della cuccagna. Continuerà certamente ad esserlo per chi ha la fortuna di avere una casa sfitta magari in una città turistica. Il mercato degli affitti brevi si è però talmente esteso che, dopo aver fatto due conti in tasca, lo Stato ha deciso di regolarlo e fare cassa.

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