L’alternanza scuola-lavoro costa. Non al ministero dell’Istruzione ma agli alunni. La denuncia arriva ancora una volta dai ragazzi, dall’Unione degli Studenti che nei giorni scorsi ha presentato i dati raccolti grazie ad un’inchiesta fatta su un campione di quindicimila studenti frequentanti le terze e le quarte classi dei licei e degli istituti tecnici e professionali di Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Toscana, Abruzzo, Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia.

Secondo l’Unione degli Studenti vi sono dei casi di inopportunità che vanno segnalati: ad Avellino, per esempio, agli studenti è stata chiesta una somma di 200 euro per coprire le spese di trasporto e a Trieste sono segnalati casi in cui i ragazzi si sono dovuti cercare in maniera autonoma una realtà dove svolgere quanto previsto dalla Legge. Secondo l’unione degli studenti, inoltre, a Taranto gli studenti hanno fatto alternanza scuola-lavoro all’Ilva, l’azienda siderurgica tanto discussa. L’azienda smentisce però di essere stata coinvolta in progetti di alternanza scuola-lavoro, affermando invece che negli stabilimenti sono state ospitati studenti e docenti in visite guidate specifiche.

Il sondaggio compiuto sui quindicimila studenti, infatti, ancora una volta sottolinea come la novità introdotta abbia ancora parecchi punti critici : diritti violati, percorsi non coerenti al proprio percorso di studi ma soprattutto costi. Il 38% degli studenti intervistati ha infatti dichiarato di aver dovuto sostenere delle spese per frequentare il percorso reso obbligatorio dalla Legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”. Stiamo parlando di soldi che sono usciti dalle tasche delle famiglie per pagare il trasporto e spesso anche il pranzo dal momento che gli studenti hanno dovuto raggiungere le imprese o gli enti dove hanno fatto l’esperienza con mezzi pubblici.

A dover fare i conti con questo problema sono soprattutto i ragazzi al Sud: “Pensiamo – spiegano nel dossier i responsabile dell’Unione degli Studenti – alla Sardegna e al Molise dove le scuole, non essendoci un tessuto produttivo sul territorio in grado di sopperire alla mole di studenti, si sono trovate costrette a far spostare gli alunni in luoghi non vicini alla residenza arrivando a far spendere loro cifre come 300-400 euro”.

Ma non solo. Perché l’esperienza è arrivata anche a creare delle condizioni di discriminazione tra i vari studenti. “Nelle scuole del centro delle grandi città – spiega Aksel Nikaj dell’esecutivo nazionale – sono stati organizzati percorsi migliori che nelle periferie”.  Un quadro a tinte fosche anche perché secondo il 40% degli intervistati sono stati violati dei diritti e il 57% ha partecipato a percorsi di alternanza scuola-lavoro non inerenti al proprio percorso di studi.

Di alternanza scuola-lavoro in questi giorni ne ha parlato anche la Federazione italiana pubblici esercizi che coinvolge dal punto di vista occupazionale molti ragazzi: il 53,2% dei dipendenti nei pubblici esercizi ha meno di trent’anni. Si tratta di 309 mila lavoratori, per il 49,2% di sesso femminile e per il 50,8% maschile. E la richiesta continua ad esserci: nel 2016 le aziende del comparto hanno avuto problemi nel reperire quattromila  tra cuochi, camerieri e baristi, in parte per la carenza di candidati (31,5%), ma soprattutto per inadeguate competenze professionali (68,5%). Ma sulla questione alternanza proprio la Fipe ha sollevato una questione relativa al fatto che i ragazzi minorenni non possono usare macchinari e coltelli, servire alcolici, e lavorare dopo le ventidue.

Articolo aggiornato da redazioneweb dopo la precisazione di Ilva che si dichiara estranea a progetti di alternanza scuola-lavoro

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