È come un film già visto cento volte: conosci il finale e nemmeno ti copri gli occhi davanti alle scene di paura. Il Movimento 5 stelle affronta il dopo elezioni amministrative in apnea, trattenendo il fiato per il tempo che basta a far passare le analisi sui giornali e in attesa che si spengano i riflettori. “La batosta? La aspettavamo da sei mesi”. L’hanno vista arrivare tutti, ma nessuno ha fatto niente. Perché? La lista comincia a essere lunga: i Meetup come sezioni di partito dilaniate da guerre interne, una classe dirigente incapace di rigenerarsi, i territori troppe volte abbandonati, il limite del doppio mandato che porta molti a ritirarsi per puntare più in alto, il voto di opinione che entra in gioco solo quando la sfida è tra “vecchio e nuovo” e li abbandona negli altri casi. C’è bisogno di continuare? I problemi li sanno a memoria, ma poi si rifugiano dietro un’unica frase: “Abbiamo poche forze, concentriamoci sulle elezioni nazionali”. Sarebbe bello se il crollo nelle urne non avesse conseguenze. I 5 stelle sono quelli dei Meetup: sono nati sui territori e lì ogni volta si giocano le battaglie. I volontari, i banchetti, le campagne: tutto è partito dalle dirette streaming tra dieci gatti, quella è stata la forza della “rivoluzione”. “Il problema”, racconta un attivista storico del Nord, “è che l’Italia non è quella di dieci anni fa. La gente ha perso la passione e c’è ancora meno voglia di fare politica. Non ci riusciamo più nemmeno noi a far partecipare la gente”. La botta passerà anche questa volta, un po’ come tutti i dolori che, quando si ripetono, quasi fanno meno male. Grillo la fa facile: “E’ una crescita lenta e inesorabile”. Ma fino a quando? I risultati non lasciano spazio a troppe interpretazioni: 8 ballottaggi su 140, fuori al secondo turno nei centri principali e percentuali che non vanno oltre il 20 in tutta Italia. Da una parte ci sono Palermo e Genova dove hanno vinto le guerre interne e il Movimento non è stato in grado di esprimere un nome unico. Dall’altra il caso di Carrara: due parlamentari M5s (Paglini e Bottici) e un ex candidato di Regione (Giannarelli) molto attivi sul territorio hanno portato il candidato al ballottaggio con uno dei risultati migliori della tornata. Tutto materiale per l’autoanalisi che il Movimento non farà, se non a porte chiuse. Più facile invece che in pubblico si cerchino i responsabili. Un nome fra tutti è Luigi Di Maio: il leader quasi designato e senza alternative viene contestato per la debolezza su alcuni temi e per i suoi tentativi di trattare con i partiti (vedi la legge elettorale). Ma ci sono anche Roberto Fico e Alessandro Di Battista: a loro si chiedeva di gestire i Meetup, ma nessuno dei due è mai stato veramente incisivo. Fino adesso era andata bene così. “Se non cambia qualcosa, fra cinque anni il Movimento è finito”, dicono i più catastrofici. Il tempo dirà chi ha ragione.

Meetup scoppiati- Se qualcosa non ha funzionato nella campagna per queste amministrative, sicuramente è stato nei Meetup. Da chiudere o riordinare, ma comunque da riformare, sono la struttura da cui tutto è partito e che ora faticano a reggere il peso del Movimento. “I nostri gruppi dovrebbero essere inclusivi“, racconta un parlamentare, “e invece si guarda l’anzianità come se essere arrivati per primi fosse un privilegio. Questo è un modo di ragionare del passato, tipico dei partiti tradizionali e che nulla ha a che vedere con noi. E naturalmente porta a lacerazioni“. Le cronache delle campagne elettorali sono state piene di scontri all’ultimo sangue per i controlli dei singoli Meetup che sono diventati come normali sezioni di partito. Ma se la dialettica interna è da considerare normale, meno normale per un M5s che aspira a governare è il fatto di non avere arbitri nazionali capaci di intervenire e sedare le lotte. Oppure se sono intervenuti lo hanno fatto quando era troppo tardi. I casi lampanti sono appunto Palermo e Genova: in entrambe le competizioni il ballottaggio era il risultato quasi obbligato e in tutti e due i casi non è stato raggiunto. Nel capoluogo siciliano lo scontro è stato non solo a causa dell’inchiesta sulle firme false, ma anche per le correnti interne che hanno affossato il candidato Ugo Forello. Nella patria di Grillo invece è stato il carnevale: una candidata silurata dopo che era stata eletta dalla rete, il volto storico Paolo Putti che corre da solo sostenuto da Sinistra italiana e chi più ne ha più ne metta. “Il nostro problema non è Beppe”, dice un altro parlamentare annoverato tra i critici. “Ma quelli che vogliono essere più realisti del re. Genova ne è stato l’emblema: le epurazioni ci hanno affossato”.

Fico, Di Battista e Di Maio: la caccia ai colpevoli – La rete locale non regge, non c’è e là dove c’è stata si è ammorbidita. Ma la colpa di chi è? Si potrebbe dire che negli ultimi mesi i vertici hanno avuto un’altra priorità: ovvero preparare la squadra di governo e arginare i danni nella Capitale. E la coperta è sempre troppo corta: perché se si copre un angolo, si scopre l’altro. Più passano i mesi e più si vedono le carenze strutturali: il M5s non ha una segreteria di partito e non ha dirigenti incaricati di seguire i territori. Anzi, a voler essere precisi ce li ha, ma per paura di diventare un partito o di scatenare liti per leadership interne, questi soffrono di una scarsa legittimazione. Prima c’è stato il direttorio, quel gruppo ristretto di uomini di fiducia che avrebbe dovuto prendere in mano la gestione organizzativa. Apriti cielo: critiche, accuse, attacchi. Eravamo a Palermo per Italia 5 stelle e Grillo sciolse ufficiosamente la struttura per evitare che da quella piramide ne venisse fuori una rivoluzione. Ma è rimasto un vuoto. Il primo a finire sotto accusa ora è naturalmente Di Maio, che tra le altre cose è stato in passato anche responsabile Enti locali. Lui che aspira a fare il leader, ora viene contestato da chi gli vorrebbe opposto il deputato Roberto Fico, ma anche dalla schiera di senatori che sognano finalmente di avere un loro nome in corsa. “Basta volerlo e si può”, spiegano i critici a ilfattoquotidiano.it. Ma la verità è che mancano i tempi per costruire una nuova leadership e soprattutto non è nella testa di Davide Casaleggio (e quindi neppure in quella di Beppe Grillo). L’ironia della sorte però vuole che pure Fico sia messo sotto accusa: proprio lui, insieme a Di Battista, avrebbe dovuto occuparsi dei Meetup e della loro organizzazione. Ci ha provato: era lui ad animare gli incontri ai raduni ufficiali per dare regole certe ai gruppi e silurare i dissidenti. Visto il risultato, qualcosa è andato storto.

L’intoccabile regola del doppio mandato – Comunque la si guardi, c’è un problema grosso come una casa che se ne sta lì nel mezzo senza che nessuno (o quasi) lo voglia nominare. Si chiama limite del doppio mandato ed è uno dei capisaldi del Movimento 5 stelle: nessuno, che sia un consigliere di quartiere o un parlamentare, può pensare di sedere più di due volte sulle poltrone del potere. Fine, nessuna possibilità di appello. Il dogma fino a questo momento non solo è stato rispettato, ma ha anche fatto dei 5 stelle una formazione diversa dagli altri. Il problema è che ai grillini manca la materia prima: candidati di qualità pronti a essere messi nella macchina elettorale. E così in tanti che si sono distinti nel loro primo mandato in consiglio comunale, hanno deciso di non ripresentarsi per tentare la sorte alle nazionali. Il caso eclatante è quello del sindaco uscente a Mira Alvise Maniero: ha deciso di passare il testimone e la sua successora non ha strappato neppure un biglietto per il ballottaggio. Le storie sono tante: ci sono un gruppo di consiglieri a Budrio (Bologna), i colleghi di Piacenza, Andrea Boccaccio a Genova e così via. Tutta gente che ha deciso di stare ferma un turno. “Stiamo parlando delle amministrative”, commentano dentro il Movimento, “Se non presentiamo le facce conosciute per paura che queste si brucino in vista delle nazionali perderemo sempre”. La sparata l’ha fatta un fedelissimo: il consigliere comunale di Bologna Massimo Bugani di buon mattino è andato a Radio Città del Capo e ha detto chiaramente: “Questa regola è un freno“. Da Milano e Genova ha risposto il gelo: “Se lo scordi. Su questo non si discute”. Ma il tarlo è stato insinuato e risultati alla mano i vertici non potranno non pensarci.

Se a mancare sono ancora una volta le persone – L’obiettivo ora è la scrittura del programma di governo e la formazione di una squadra di ministri in caso di vittoria alle nazionali. Bene. Ma chi correrà per il seggio in Parlamento? Chi d’ora in avanti il M5s farà entrare nelle istituzioni? “Noi vinciamo dove i nostri candidati sono anche delle persone con una storia e una rete”, è il ragionamento che fanno all’interno. “Non semplici portavoce messi lì dall’alto”. La maestra, l’ex della guardia di finanza, l’ingegnere: servono volti che abbiamo una storia. “Non viviamo le scuole, non viviamo l’associazionismo, conosciamo poco i territori. La verità è che siamo passati dall’essere i cardini di una struttura capillare a essere degli sconosciuti in casa nostra”. Il problema si pone: di i sicuro non subito, non per le elezioni politiche, ma per il dopo. “Il fatto”, concludono, “è che ogni eletto è stato il referente di un Meetup locale, ma quando quel qualcuno è entrato nelle istituzioni ha continuato a lavorare per far crescere la struttura locale? Non sempre e non abbastanza. E questi sono i frutti che raccogliamo”. Ovvero, ancora una volta, troppo pochi.

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