Matteo Renzi ha mandato in giro i luogotenenti. Maurizio Martina, soprattutto, ma anche Lorenzo Guerini e qualche ministro come Graziano Delrio. Silvio Berlusconi, al massimo, ha fatto un giro per i Comuni brianzoli, come la stessa Monza, e ha mandato un video stile 1994 per sostenere la candidatura di Antonino D’Alì a Trapani. Gli unici leader che aspettano le elezioni amministrative di oggi (le urne chiuderanno alle 23, al voto oltre mille Comuni per 9 milioni di aventi diritto) sembrano ancora una volta Beppe Grillo e Matteo Salvini, i cui partiti nascono e si autoconfermano con il voto locale. Ma in realtà quanto pesano le elezioni comunali? Quanto importa ai partiti? Per capire chi vince e chi perde si potrà partire dal dato delle amministrazioni uscente delle 25 città capoluogo: 15 finora sono state di centrosinistra, 5 di centrodestra, 3 di liste civiche (ma qui c’è anche l’ex M5s Pizzarotti a Parma) e due escono da un commissariamento. A Lodi per via dell’arresto dell’ex sindaco Simone Uggetti, a Padova perché il primo cittadino Massimo Bitonci è stato sfiduciato dal consiglio dopo una lite Forza Italia-Lega, ora ricomposta.

Matteo Renzi ha aspettato l’ultima settimana prima del voto per ripetere quello che dice sempre: “Non è un test politico riguarda singoli comuni ma se dovessi scommettere direi che i candidati del Pd andranno bene” ha detto il segretario del Pd in una battuta al Tg1. E poi, come al solito, la narrazione dell’orgoglio da ex sindaco: “Fare il sindaco è la fatica più grande, ma anche l’onore più grande per un cittadino” ha scritto nella newsletter di alcuni giorni fa”. “E’ un grande privilegio – aveva aggiunto – vivere in una stagione di democrazia e partecipazione così bella”. Il primo dato sarà appunto quello dell’affluenza. Solitamente quella delle Comunali è la tornata elettorale che chiama al voto più cittadini perché, come dice Renzi, il sindaco è percepito come l’istituzione più vicina. Il dato dell’affluenza sarà già una mezza notizia, questa sera: negli ultimi anni i dati dell’astensionismo sono andati crescendo, da una parte perché a sinistra chi non vuole votare il Pd ri-renzizzato non ha molte alternative, dall’altra perché a destra si deve scegliere tra Forza Italia rimasta alla leadership storica e la Lega Nord a trazione sovranista-populista. E alle ultime elezioni nel 2016 si è visto che nemmeno più i Cinquestelle fanno da argine contro il non voto. I numeri dell’affluenza diranno come stanno gli elettori, insomma.

Il Pd se la gioca in tutti i Comuni più grandi, col rischio però anche di perdersi all’ultimo metro per l’effetto ballottaggio. Un effetto che i democratici hanno imparato a conoscere a Parma, dove questa volta l’uomo che i democratici devono battere è il sindaco uscente Federico Pizzarotti, ora spogliato della divisa dei Cinquestelle. Ci sarà da capire se prosegue il fenomeno dello scorso anno per cui il Pd si è “ritirato” dal Nord che era stato terra di conquista all’inizio dell’era renziana e che invece è tornato a gonfiare il bacino elettorale del centrodestra in particolare quello leghista. Da vedere “quale sud” segue i democratici, anche in vista delle elezioni regionali in Sicilia del prossimo autunno. E se le Regioni cosiddette rosse sono ancora tali o lanciano qualche segnale. Renzi lo nega, ma le amministrative sono il primo di due test – l’altro è la finanziaria – che da qui alle elezioni politiche (ormai rimandate a primavera del 2018) rischiano di “sgualcire” il suo bagno di folla e di voti alle primarie che gli hanno riconsegnato il partito.

Berlusconi e Salvini sono nella strana condizione per cui a livello nazionale quasi non si parlano e di sicuro fanno a gara per la leadership della coalizione e invece nelle città corrono e governano insieme. I candidati della Lega e dei Fratelli d’Italia, tuttavia, si stanno moltiplicando anche in città importanti, come per esempio a L’Aquila o Padova. Il leader di Forza Italia, quindi, deve ricominciare a pesare sul territorio per poter avere la forza di contrattare anche a livello nazionale. D’altra parte proprio la base territoriale è la prima benzina della Lega Nord, mai così in alto nei sondaggi come nell’ultimo anno e mezzo. Il Carroccio vede le urne sotto due lenti di ingrandimento: la tenuta al Nord (dove lo scorso anno è finita sotto accusa per un’emorragia non di percentuali, ma di voti effettivi) e l’eventuale sfondamento al Centro, soprattutto in Toscana e in Emilia.

I Cinquestelle possono giocarsela ovunque, possono contare sul ballottaggio, ma devono fare i conti soprattutto con se stessi. Risse interne ci sono state a Genova, città simbolo del capo, e a Palermo, dove in teoria il M5s dovrebbe fare il pieno visto che la Sicilia si sta precipitando da quella parte. Nelle altre città resta una nuova prova per capire come sta il Movimento a livello nazionale, anche a livello d’immagine, comunicativo. Un mezzo flop potrebbe portare a quello che i politologi chiamano “effetto traino”, cioè che i risultati delle amministrative abbiano poi un effetto anche sul nazionale. Per contro i Cinquestelle hanno elettori molto fidelizzati nonostante si ritengano “liberi” nei voti locali.

Infine sarà il primo esame di maturità per Articolo 1-Mdp. La vera contraddizione è che in molti casi gli ex Pd sosterranno candidati della coalizione di centrosinistra. A Genova, per esempio, esiste l’alleanza per come la sogna Giuliano Pisapia che infatti è andato nel capoluogo ligure per fare campagna a sostegno di Gianni Comello, il candidato sindaco che ha una provenienza Sel ma che collabora con Pd e Mdp. Ma sul piano nazionale una coalizione del genere è ancora un sogno. E i bersaniani rischiano di vedersi additati per strada per i risultati che potrebbero essere così così: questo test elettorale è arrivato “troppo presto” rispetto alla scissione dal Pd di metà febbraio.

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