“I coralli sono la più grande biocostruzione del pianeta: coprono solo lo 0,2 % dei fondi degli oceani, eppure includono quasi il 30% di tutta la biodiversità marina conosciuta. La loro salute è di vitale importanza non solo per la sopravvivenza delle specie che ospitano, ma anche per l’uomo: oltre 500 milioni di persone dipendono direttamente dai coralli”. A sottolinearlo in un colloquio con ilfattoquotidiano.it, è Serges Planes, direttore scientifico di Tara Pacific. Cioè l’ultimo progetto della goletta scientifica Tara, l’ex Seamaster di Sir Peter Blake ucciso dai pirati nel 2001 e oggi barca a vela “laboratorio” di 36 metri, da 13 anni impegnata in spedizioni intorno al mondo per studiare e capire l’impatto dei cambiamenti climatici e dell’attuale crisi ecologica sugli oceani dal cui equilibro e buona salute, oggi particolarmente a rischio, dipendono milioni di vite.

E dei quali si celebra oggi la giornata mondiale, mentre dal 5 al 9 giugno si sta tenendo negli Headquarters delle Nazioni Unite a New York la prima Ocean Conference, il cui obiettivo è discutere soluzioni concrete per attuare l’obiettivo 14 di sviluppo sostenibile dell’Onu sulla conservazione e sostenibilità degli oceani. Un tema che ben si coniuga con Tara Pacific, una spedizione di due anni e quasi 100mila chilometri nell’Oceano Pacifico, iniziata nel 2016 con l’obiettivo di studiare i coralli e il loro stato di salute a fronte dei cambiamenti climatici e degli impatti antropici. Non a caso in concomitanza con questo evento, le isole Fiji (co-sponsor della Conferenza di New York insieme alla Svezia) hanno accolto l’arrivo di Tara nella capitale Suva, dove ilfattoquotidiano.it è potuto salire a bordo della nave. Ma Tara non è “solo” un progetto scientifico, bensì anche “un mezzo per sensibilizzare la società sui temi ambientalisti e incitare i decision maker ad adottare soluzioni concrete per la salvaguardia del pianeta, compito svolto anche attraverso lo statuto di Osservatore speciale che la fondazione ha all’Onu”, come spiega Andre Abreu, responsabile per le politiche internazionali della fondazione Tara. Inoltre, con i suoi programmi complementari di arte (8 artisti si daranno il cambio a bordo durante i due anni nel Pacifico) e di educazione (a ogni scalo, ad esempio, le scuole locali visitano la barca), Tara ambisce a raggiungere un pubblico il più possibile ampio e variegato.

Tornando ai coralli, “il rischio più grande a cui questi organismi sono esposti è lo sbiancamento, causato dall’aumento della temperatura e dall’acidificazione dell’acqua. Si tratta di un fenomeno molto rapido e irreversibile e si stima che entro una quindicina di giorni dall’inizio di questo processo, il corallo muore – continua Planes -. La più recente “ondata” di sbiancamento è avvenuta nel 1988, anno in cui il 18% del corallo mondiale morì. Oggi stiamo assistendo a un’altra preoccupante fase e si stima che negli ultimi due anni il 70% della Grande Barriera Corallina Australiana sia sbiancato, morendo”. Come si sviluppa la ricerca di Tara Pacific? “In ognuno dei 22 scali del Pacifico individuiamo tre siti da cui prendere campioni di coralli, in ognuno di questi scegliamo 3 specie diverse e per ognuna raccogliamo 10 colonie. Inoltre, raccogliamo campioni dell’acqua che li circonda. I campioni vengono poi mandati in Europa e studiati da un team di oltre 50 scienziati, in 15 diversi laboratori. Ciò che vogliamo analizzare è la loro salute e i loro meccanismi di interazione con l’ambiente circostante, soprattutto tenendo in conto la temperatura e acidità dei mari”.

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