“Sarti, Burgnich, Facchetti”, cominciava così la filastrocca con cui i telecronisti annunciavano la Grande Inter, in un’epoca in cui le formazioni si leggevano nominando i giocatori a gruppi di tre e tutti le conoscevano a memoria, perché gli undici che scendevano in campo erano quasi sempre gli stessi. Giuliano Sarti era il portiere di quella squadra nerazzurra, capace di dominare il calcio italiano ed europeo negli anni Sessanta sotto la guida del tecnico Helenio Herrera. Uno dei più grandi numeri uno della storia del pallone è morto lunedì sera a Firenze, per un malore improvviso. Nato nel 1933 a Castello d’Argile, vicino Bologna, aveva 83 anni.

Sarti fu un portiere rivoluzionario per la sua epoca. Già allora, tra gli anni ‘50 e ‘60, andavano di moda i tuffi appariscenti, le uscite acrobatiche. Lui invece era calcolatore, freddo, spesso immobile: amava non scomporsi, capire prima dove sarebbe finito il pallone e posizionarsi al posto giusto per una presa tranquilla e sicura. Sarti non si muoveva neanche quando l’attaccante avversario avanzava solo verso la porta: rimaneva fisso sulla linea e lo guardava negli occhi. Caratteristiche che gli costarono spesso il posto in Nazionale, dove collezionò solo 8 presenze. Gli venivano preferiti portieri che si tuffavano da un palo all’altro, anche per un niente.

Ma Sarti ebbe modo di togliersi grandi soddisfazioni con le squadre di club. Fu il simbolo della Fiorentina capace di vincere il suo primo scudetto nella stagione 1955/56. Con i Viola, fino al 1963, conquistò anche una coppa Grasshoppers, una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe. Poi arrivò la chiamata del ‘Mago’ Herrera, che voleva blindare la porta della sua Inter. Con i nerazzurri vinse due scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali, prima di chiudere la carriera come secondo portiere della Juventus nel 1970. Rimane ancora l’unico numero uno italiano ad aver disputato quattro finali di Coppa dei Campioni (anche considerando l’attuale Champions League).

Se il suo stile tra i pali poteva essere scambiato per snobismo, Sarti fu invece sempre apprezzato per umiltà e semplicità. Rimane nella storia la telecronaca della finale di Coppa dei Campioni del 1964 tra la sua Inter e il Real Madrid al Prater di Vienna. Per tutto il primo tempo il telecronista Nicolò Carosio lo scambiò per Bugatti, il portiere di riserva, ma lui non se la prese, come non si arrabbiava per le mancate convocazioni con la Nazionale italiana. Così lo ricorda oggi la Fiorentina, che lo ha inserito nella propria Hall of Fame, ma anche l’Inter, che lo definisce “uno dei più grandi portieri italiani, rappresentante di una tradizione simbolo ed eccellenza del nostro calcio”.

Nonostante la brillante carriera, verrà ricordato anche per un altro episodio, quello che di fatto mise fine al dominio della Grande Inter. Nella stagione 1966/67 un suo errore in uscita a Mantova costò la sconfitta per 1-0, relegando i nerazzurri al secondo posto in classifica dietro alla Juventus. L’immagine del portiere abbracciato al palo rimane uno dei simboli del calcio italiano negli anni ‘60. Poi il passaggio in bianconero, che fece storcere il naso a molti tifosi dell’Inter e della Fiorentina. Sarti confessò poi che in uno scontro tra la Juventus e la squadra viola nel 1969, decisivo per lo scudetto, lui tifava per la formazione di Firenze. D’altronde le imprese con Inter e Fiorentina lo hanno relegato nell’Olimpo dei grandi del calcio italiano, dove da oggi lo aspettano Picchi, Facchetti, Tagnin, Milani e molti altri ex compagni e avversari.

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