L’Italia dal grande cuore si è ristretta e quasi non adotta più. Complice la crisi e una serie di conflitti e veleni in capo agli enti e all’autorità istituzionalmente preposta, le pratiche di adozione sono crollate dalle 4mila di cinque anni fa a circa 1.500 l’anno. Colpa delle difficoltà economiche certo, ma non solo. Un impatto forte lo hanno avuto anche le polemiche che negli ultimi tre anni hanno investito l’intero sistema, fatto di 62 enti autorizzati e di una Commissione per le adozioni internazionali (Cai), autorità competente in materia, che in oltre mille giorni non si è mai riunita. In mezzo, una guerra interna e mediatica tra la vicepresidente Silvia Della Monica – ex magistrato antimafia – e uno dei maggiori e più antichi enti italiani, Ai.Bi., Amici dei bambini, accusata di aver denunciato in ritardo episodi di violenze sui bambini in orfanotrofi con i quali collaborava e di aver collaborato, in Congo, con strutture che “strappavano” i figli ai genitori naturali, come denunciato da un’inchiesta dell’Espresso. “Italiani ladri di bambini” era il titolo. Ma, contrariamente a quanto annunciato dallo stesso magistrato Della Monica, le accuse riportate non hanno portato a contestazioni in sede giudiziaria né alla sospensione o revoca dell’ente. Resta l’ombra su tutto il comparto adozioni e chi lo eredita oggi deve raccogliere i cocci, farsi largo tra nuove e immancabili polemiche, ricucire il rapporto tra tutti gli attori in campo. A partire dalle famiglie e dai bimbi.

Cambio al vertice, un esposto come benvenuto
Il primo di giugno si insedia ufficialmente alla vicepresidenza della Cai l’ex presidente del Tribunale dei minori di Firenze, Laura Laera, nominata venerdì 19 maggio. E’ sulle sue spalle che ricade il peso di un settore in affanno, ma al posto di una lettera di benvenuto se ne trovano ben quattro che una ventina di enti hanno scritto al presidente del Consiglio Gentiloni: denunciano violazioni e conflitti di interesse, chiedono la riconferma di Della Monica e il congelamento del magistrato che a naturale scadenza ne ha preso il posto. Non solo. Dieci di questi enti, i più grandi, hanno firmato un esposto depositato alla procura di Roma. Al centro c’è la nomina di un avvocato, Francesco Bianchini, dentro la nuova Cai. Nomina fatta da Maria Elena Boschi, delegata del governo in materia. Secondo i firmatari sarebbe in conflitto di interessi: Bianchini è presidente dell’Associazione nazionale famiglie numerose, che fa parte del Forum Nazionale delle Associazioni familiari, dentro il quale è presente anche Ai.Bi. Questo, secondo l’esposto, comporterebbe un trattamento di favore per l’Associazione Amici dei Bambini. Nomina illegittima, dunque, perché è sancita dalla legge che istituisce la Cai, la 184 del 1983, ma il 13 maggio 2015 l’allora sottosegretario Graziano Delrio firmava un decreto in cui si dice che i soggetti nominati dalle famiglie non possono essere nominati “se alle associazioni familiari a carattere nazionale che li esprimono partecipano o aderiscono enti autorizzati dalla Commissione”. Visto che Ai.Bi. è sia ente autorizzato che associazione parte del Forum delle Famiglie, è in conflitto d’interessi?

Conflitto sì, conflitto no
“È una cretinata: il decreto Delrio non ha modificato il decreto precedente (dpr 108, ndr) che parla esplicitamente di come il Forum delle Famiglie, che raccoglie 540 enti, debba esprimere un rappresentante nel Cai”, replica Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. In effetti, il dpr specifica solo che il nominato in questione non può avere ruoli all’interno di un ente autorizzato all’adozione internazionale. E Bianchini, direttamente, non ricopre cariche in Ai.Bi. Secondo il presidente di Ai.Bi. Il problema vero alla Cai è un altro: “Sono stati tre anni folli in cui si è lasciata questa donna a governare da sola. Come mai si è lasciata per tre anni da sola senza che la commissione si riunisse e senza che ci fosse un presidente e un direttore generale? Questa situazione ha provocato quest’odio di enti contro enti e famiglie contro famiglie”, sostiene. Sulla sua situazione giudiziaria precisa: “Non mi risulta che ci siano indagini su di me”. Perciò le accuse sui giornali non avrebbero ancora prodotto effetti sul piano giudiziario. Una conferma, secondo il presidente dell’associazione milanese, che Della Monica aveva ingaggiato una guerra personale contro Ai.Bi. perché “voleva creare un giro di enti autorizzati che le fossero fedelissimi”.

Piero Ardizzi rappresenta il coordinamento Oltre l’Adozione, un gruppo che conta 25 enti autorizzati, nessuno dei quali compare tra i firmatari né dell’esposto, né delle quattro lettere a Gentiloni. Di questo coordinamento ha fatto parte anche Ai.Bi. dalla fondazione (nel 2004) fino al 2011, quando si è “autosospesa” da Oltre l’adozione. “Cai non è un organo monocratico: molti enti chiedevano a gran voce che si convocasse la Commissione, ma non è mai accaduto. È stato tutto fermo e noi vogliamo solo che si riparta”. Ricorda che già da tempo diversi enti stavano cercando di affrontare problemi concreti, come i costi delle adozioni, pagando all’università Bocconi nel 2011 uno studio da consegnare al Tavolo costi della Cai. Risultato? Da allora di quell’analisi non è stato fatto nulla. Le sue speranze si rivolgono allora alla nuova vicepresidente. Altri enti la vedono all’opposto. Per Marina Virgillito di Asa Onlus il mancato rinnovo a Silvia Della Monica è un rallentamento: “Aveva cominciato a scoperchiare una situazione che denunciavamo da anni”, spiega.“La dottoressa Della Monica come poteva riunire il Cai? C’era prima da mettere le mani nei conflitti di interesse. C’è chi ha trasformato le adozioni internazionali in qualcosa che non è la realizzazione del superiore interesse dei minori”, aggiunge

Fondi: chi è più grande mangia di più, agli altri le briciole
Una delle quattro lettere recapitate a maggio al primo ministro Gentiloni affronta una parte di questo presunto business, ossia i finanziamenti per i “progetti di sussidiarietà” nei Paesi di provenienza dei bambini adottati. Sono simili a progetti di cooperazione allo scopo di ridurre il numero di figli abbandonati. I venti firmatari della lettera sostengono che “uno degli enti presenti indirettamente nella Commissione ha avuto accesso a fondi pubblici per progetti di sussidiarietà approvati e finanziati dalla stessa più di tutti gli altri enti autorizzati italiani”. Il riferimento è ad Ai.Bi. Spulciando nelle delibere dal 2005 fino al 2010, ultimo anno in cui sono stati finanziati questi progetti, emerge che l’associazione, spesso insieme a Ciai (che come Ai.Bi. È uno degli enti più grossi tra i 62), si è aggiudicata spesso la cifra più consistente: nel 2005 130mila euro, nel 2007/8 87mila euro a cui ne ha aggiunti 83mila insieme a Ciai e nel 2010, sempre insieme a Ciai, altri 205mila euro. Per gli altri, le cifre sono solitamente più basse, dai 10 fino ai 50mila euro, fatta salva qualche eccezione. Anche questa avrebbe dovuto essere materia per il Tavolo costi, ma è tutto fermo.

Accuse anche per l’unico ente pubblico
Un’ultima lettera spedita a Gentiloni il 16 maggio riguarda invece Arai, l’unico ente pubblico che fa parte dei 62 autorizzati. E di nuovo solleva un presunto conflitto di interessi: due membri del Cai, infatti, sono nominati dalla Conferenza Stato Regioni. E i due attuali sono di Regione Piemonte e Regione Lazio, proprio due delle cinque regioni dove è attiva Arai. Per i firmatari, questo comporterebbe per Arai un vantaggio illegittimo, visto che l’ente è equiparato agli altri privati. È l’ultimo fronte del conflitto interno agli enti accreditati alla Cai. Replica la presidente di Arai Anna Maria Colella: “Mi preoccupa molto sapere che alcuni enti privati considerano l’unico ente pubblico Arai un concorrente”. La legge così com’è stata recepita in Italia, spiega, prevede la possibilità che le Regioni costituiscano le loro agenzie per le adozioni internazionali. Ma non c’è equiparazione con il privato: l’autorizzazione nel loro caso non dipende dal Cai ma dalla Conferenza Stato Regioni. Che però non ha ancora stabilito quali siano le regole, “per cui l’unico ente regionale si è dovuto adeguare alle modalità operative previste per gli enti autorizzati privati”. Nessun conflitto di interessi, dunque, per Colella, semmai un adeguamento forzato per colpa di ritardi cronici. Secondo Colella, il trattamento riservato al pubblico, a confronto con il resto dell’Europa, è pessimo. In alcuni Paesi, vedi la Spagna, ci sono agenzie regionali che fanno tutto senza passare da autorizzazioni nazionali. Mentre da noi perdura una stagione dei veleni, da cui si esce, dice, “con un clima di fiducia ed evitando denigrazioni inutili che fanno male a tutti, ai bambini adottati in primo luogo e alle famiglie”.

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