La “Buona scuola” della Giannini, ovviamente. Ma anche la storica legge sulla parità di Berlinguer, persino più dei tagli della Gelmini: il Movimento 5 stelle ha intenzione di dare un colpo di spugna a 20 anni di scuola italiana, cancellando le ultime tre grandi riforme dell’istruzione realizzate nel nostro Paese. E la più colpita potrebbe essere proprio la più distante in ordine temporale, visto che al centro del programma uscito dalla consultazione lanciata sul web tra gli iscritti ci sarà la lotta alle private, con un travaso di fondi verso gli istituti statali. Circa 150 milioni di euro, secondo le prime stime che ilfattoquotidiano.it può anticipare. E ancora: tetto di alunni contro le classi pollaio, più formazione per i docenti e più tecnologia nella didattica.

ADDIO ALLE PARITARIE? – La netta distinzione tra scuola pubblica e privata è il dato che emerge con maggior forza dal voto online, a cui hanno partecipato poco meno di 20mila iscritti. Non a caso alla questione erano dedicati ben due quesiti su cinque. Risposte plebiscitarie per domande abbastanza scontate: il 94% si è detto “favorevole a destinare prioritariamente alle scuole statali i finanziamenti pubblici”; poco più bassa (84%) la percentuale di chi vuole rivedere la famosa Legge Berlinguer, che nel 2000 ha introdotto l’attuale sistema pubblico formato da istituti statali e paritarie. Il risultato è che lo stesso concetto di “parità”, cardine di quella riforma e al centro di mille attenzioni anche degli ultimi governi (specie da parte dell’ala ministeriale che fa capo agli alfaniani), sarà messo in discussione: l’obiettivo è tornare alla situazione precedente, con una netta separazione fra privato e pubblico.

150 MILIONI DALLE PRIVATE ALLE STATALI – Meno fondi alle private, però, non significa zero euro: dal discorso il M5s esclude il segmento 0-6 anni, la scuola dell’infanzia, su cui lo Stato non garantisce un servizio completo e spesso la scelta delle famiglie è obbligata. E siccome delle circa 13mila paritarie oltre il 70% sono nidi o asili, buona parte del finanziamento che ammonta a circa 500 milioni di euro l’anno dovrebbe comunque essere mantenuto. Si può quantificare tra i 150 e i 200 milioni di euro il travaso di soldi dalle private (elementari, medie e superiori) alle statali. Una somma che verrebbe utilizzata per aumentare il fondo di funzionamento delle scuole, attualmente intorno ai 230 milioni, e combattere il fenomeno dei “contributi volontari”: circa 25mila euro in più ad istituto, non una fortuna ma comunque una boccata d’ossigeno per i presidi che a volte fanno fatica a garantire anche i servizi essenziali e sono costretti a ricorrere all’aiuto delle famiglie.

DALLA GELMINI ALLA GIANNINI – Sugli altri argomenti ci sono meno certezze, se non quella di rivedere le riforme Giannini e Gelmini. Nella domanda dedicata alla “Buona Scuola”, spiccano l’esigenza di cancellare la chiamata diretta e il bonus docenti, ma anche la “formazione obbligatoria e retribuita degli insegnanti”, entrambe al 30%; meno preferenze, invece, per il no ai test Invalsi e all’alternanza scuola-lavoro. Per l’offerta formativa vince la lotta alle classi pollaio (43%), mentre per quanto riguarda la didattica gli iscritti si sono divisi in maniera pressoché identica fra le varie opzioni, facendo emergere il desiderio di una maggiore tecnologia a scuola, tra strumenti digitali e “ambienti innovativi”. Mancano ovviamente molti temi: dal sostegno all’edilizia scolastica, passando il reclutamento dei docenti. “Sono delle prime indicazioni”, spiega la deputata Silvia Chimienti. “Abbiamo chiesto ai nostri elettori di darci un ordine di priorità, poi queste proposte dovranno essere strutturate: su tanti altri argomenti abbiamo già depositato emendamenti e proposte di legge, che saranno ripresi al momento della stesura del programma definitivo”. Siamo solo alle linee guida, insomma. Che per ora si fermano alla scuola: presto in tema d’istruzione verrà lanciata anche un’altra consultazione su università e ricerca.

Twitter: @lVendemiale

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