Tra endorsement e ritiri dei vari candidati, la sfida per la presidenza iraniana sembra essere ormai una corsa a due. Il voto del 19 maggio vedrà scontrarsi da una parte l’attuale Presidente moderato dell’Iran, Hassan Rouhani, dall’altra il conservatore Ebrahim Raisi, più legato al tradizionalismo religioso degli ayatollah e della Guida Suprema, Ali Khamenei. Una sfida che a poche ore dall’apertura dei seggi appare ancora incerta. I sondaggi danno in vantaggio l’attuale Presidente che, come è sempre avvenuto dopo la rivoluzione del 1979, concluderebbe così il suo secondo e ultimo mandato. Ma il ritiro del Sindaco di Tehran, Mohammad Bagher Ghalibaf, con tanto di dichiarazione di voto in favore di Raisi spaventa l’ala moderato-riformista. A fare la differenza sarà il voto dei tanti indecisi che si recheranno alle urne, con Rouhani che auspica un’affluenza copiosa per cercare di rintracciare la preferenza di chi, tra i sostenitori di Ghalibaf, non se la sente di votare Raisi.

Ormai è corsa a due. Rouhani teme i voti di Ghalibaf
Dei sei candidati in corsa per la presidenza, dopo le selezioni del Consiglio dei Guardiani su oltre 287 mila domande presentate, ne rimangono formalmente solo tre: Rouhani, Raisi e il riformista Mostafa Hashemi-Taba. Quest’ultimo, nonostante sia sempre in lizza, si è adeguato alla “tradizione” iraniana che vuole il ritiro dei candidati più deboli in favore del rappresentante della propria fazione e ha dichiarato il proprio voto per Rouhani, così come già fatto dall’attuale vicepresidente, Eshaq Jahangiri. A spingere per la vittoria di Raisi sono invece il conservatore Mostafa Aqa-Mirsalim e, dopo un ritiro a sorpresa, l’attuale sindaco della capitale Ghalibaf.
Proprio l’appoggio di quest’ultimo alla candidatura del conservatore Raisi ha cambiato le prospettive di un voto che, secondo i primi sondaggi, vedeva il Presidente in vantaggio di circa venti punti percentuali sia su Ghalibaf che su Raisi. Con questo endorsement, però, la vittoria di Rouhani non è più così scontata, anche se non è automatico che tutti i sostenitori del Sindaco di Tehran convergano necessariamente sullo sfidante alla presidenza. Alcuni rilevamenti, non a caso, danno ancora Rouhani vincente addirittura al primo turno, come fu alle scorse elezioni.
L’apertura di Rouhani contro il recupero della tradizione rivoluzionaria di Raisi. Con il peso della situazione economica
I conservatori hanno cercato di portare la campagna elettorale, che nelle ultime settimane ha conosciuto attacchi sempre più duri tra i candidati, sul tema economico. È questo, insieme alle accuse di corruzione, il campo in cui i conservatori hanno voluto sfidare il Presidente in carica incapace, a loro dire, di rispondere alle esigenze della popolazione più povera. A fronte di un netto calo dell’inflazione, al leader moderato viene imputata la crescita della disoccupazione, passata da poco più del 10% al 12% circa in questi quattro anni di governo, con quella giovanile che sfiora il 30%. Inoltre, la crescita prevista dal sesto piano quinquennale, iniziato nel 2016, non starebbe rispettando la tabella di marcia. Secondo i dati della Banca Mondiale, il Pil ha conosciuto una crescita del 4,8% nel 2016, spinto però dal boom dell’industria petrolifera, con previsioni intorno al 5,2% per il 2017. Niente a che vedere con la crescita media annua dell’8% auspicata dai piani economici.

Gli appelli di Rouhani alla continuità, in nome di una maggiore apertura ai mercati esteri e di un’uscita dall’isolazionismo del Paese, si scontrano quindi con le promesse di Raisi di una più rapida ripresa economica, di sussidi alle popolazioni più povere e della creazione di 1,5 milioni di posti di lavoro all’anno. Il tutto accompagnato da un ritorno alla tradizione rivoluzionaria promosso con la retorica cara al conservatorismo religioso del Paese. Promesse, quelle di Raisi, che gli sono valse l’appellativo di “populista” e che puntano a oscurare quella che è considerata dalla maggior parte del Paese la grande conquista di Rouhani e del suo Ministro degli Esteri, Javad Zarif: l’accordo sul nucleare. Un accordo, sostiene lo sfidante, subito passivamente dal governo di Tehran che dovrebbe invece tornare a fare la voce grossa con gli Stati Uniti.

Ebrahim Raisi, magistrato, guida religiosa e pupillo di Khamenei
Oltre all’appoggio dell’ala più conservatrice del Paese, lo sfidante dell’attuale Presidente può contare sulla forte influenza esercitata sulla popolazione più religiosa. Da trent’anni nella magistratura, Raisi è prima di tutto un “turbante nero”, copricapo religioso indossato dai Sayyid, i discendenti diretti del Profeta Maometto, dal 2016 Custode del santuario dell’Imam Reza, il luogo di pellegrinaggio più importante dell’Iran. Questo compito gli è stato affidato dalla Guida Suprema, Ali Khamenei.

Ed è proprio l’appoggio dell’ayatollah, che negli ultimi quattro anni si è più volte scontrato con le politiche proposte dal governo di Rouhani, considerate troppo riformiste e aperte nei confronti di Paesi come gli Stati Uniti, l’ultima importante arma nelle mani dello sfidante conservatore. La Guida Suprema gli ha già affidato un ruolo importante nel santuario nella città santa Mashhad e, ormai 75enne, si dice abbia pensato proprio a lui per la successione come guida spirituale del Paese. Queste elezioni rappresentano un primo banco di prova per verificare la leadership del nuovo candidato e Khamenei non vuole interferenze. Così ha avvertito chiunque pensi di influenzare le prossime elezioni, a partire dal magnate americano di origini ungheresi, George Soros: “Se qualcuno ha intenzione di attentare alla sicurezza nazionale – ha twittato l’ayatollah sotto a una foto del filantropo di origini ebraiche – verrà sicuramente schiaffeggiato”.

Twitter: @GianniRosini

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