Una possibile eruzione ai Campi flegrei potrebbe essere più vicina di quanto non ci si aspettasse. Questa, in sintesi, la conclusione a cui è giunta una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications e condotta da Christopher Kilburn dello University College London (Ucl) e da Giuseppe De Natale e Stefano Carlino dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). In effetti i segnali di irrequietezza del supervulcano dei Campi flegrei (Napoli), stanno diventando sempre più numerosi e in questo studio sono stati misurati per la prima volta in modo sistematico, tanto da permettere la messa a punto di un modello che aiuta a prevedere il comportamento del supervulcano. “Non c’è nulla di imminente” precisano gli studiosi, che però invitano le autorità “a prepararsi a un’eventuale eruzione”. Peccato che il territorio è ancora alle prese con un piano di emergenza di cui i cittadini sanno poco o nulla, mentre le prove di evacuazione sono ancora una chimera.

LO STUDIO – Le previsioni contenute nella ricerca sono state possibili analizzando le deformazioni del suolo nei Campi flegrei, ossia il sollevamento e abbassamento del suolo (bradisismo) e comparandole con il tasso di sismicità dell’area. Si tratta di un approccio nuovo, dato che finora i modelli predittivi delle eruzioni si basavano sull’eventuale presenza di intrusioni magmatiche superficiali. Tra il 1959 e il 1984 il suolo si è sollevato di oltre 4 metri nel porto di Pozzuoli, a causa dei movimenti del magma a tre chilometri di profondità e nell’area ci sono stati circa 20mila terremoti. Questi movimenti sono stati analizzati sulla base del modello ed è emerso che la somma delle deformazioni avvenute potrebbe aver causato un accumulo di energia nella crosta terrestre, avvicinandola al punto di rottura, dal quale potrebbe fuoriuscire il magma. Questo renderebbe l’eruzione più probabile, anche se va sottolineato che, prima di raggiungere la superficie, il magma può anche ristagnare. Resta comunque impossibile prevedere se e quando possa avvenire un’eruzione.

SEGNALI SIMILI ALL’ERUZIONE DEL 1538 – “I segnali indicano che c’è una dinamica in atto – ha dichiarato il vulcanologo Stefano Carlino – ma non sappiamo se questa ‘agitazione’ a lungo termine porterà a un’eruzione, né sappiamo quale sia la soglia di criticità dell’energia accumulata”. Eppure questo studio dà qualche risposta in più rispetto al passato: i segni di irrequietezza che si sono manifestati nei Campi flegrei negli ultimi 67 anni somigliano molto a quelli registrati 500 anni fa e che nell’arco di un secolo hanno portato all’eruzione del 1538. Il modello, dunque, indica che se si dovesse arrivare a un’eruzione, potrebbe essere simile a quella dalla quale si formò il Monte Nuovo, sul lago Lucrino, ma i cui effetti sono stati molto meno devastanti rispetto alle eruzioni che hanno generato la caldera dei Campi flegrei. Lo studioso Christopher Kilburn dello University College London ha spiegato che quanto sta avvenendo nell’area campana è stato già osservato nel corso di ricerche condotte su altri vulcani come “il Tavurvur in Papua Nuova Guinea, l’El Hierro alle Canarie e il Soufriere Hills sull’isola caraibica di Montserrat”, che negli ultimi 20 anni sono tornati a eruttare.

LA PREVENZIONE – Dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno precisato che lo studio ha “una valenza essenzialmente scientifica”, ma che al momento “non vi sono immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile”. Tradotto: il livello di allerta, che nel 2012 la Protezione Civile ha alzato da ‘verde’ a ‘giallo’, resta invariato, ossia di attenzione. Eppure è lo stesso Christopher Kilburn, pur escludendo un evento imminente, a invitare le autorità “a preparare un’eventuale eruzione”. Ma a che punto sono le autorità? Ad agosto scorso sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le disposizioni per l’aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico ai Campi flegrei: sette i comuni della provincia di Napoli soggetti ad alta probabilità di invasione di flussi piroclastici e, quindi, nella zona rossa per cui si prevede l’evacuazione della popolazione. Si tratta dell’intera estensione territoriale dei comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto e di parte del territorio dei Comuni di Giugliano in Campania, Marano di Napoli e alcune municipalità di Napoli. Sono stati definiti poi i gemellaggi con Regioni e Province autonome che accoglierebbero la popolazione, ma non è concluso l’iter che prevede la firma dei protocolli d’intesa tra questi Enti, la Regione Campania e le amministrazioni comunali, con l’ok definitivo della Protezione civile. Poi ci sono i territori della zona gialla che, in caso di eruzione, gli studiosi ritengono “maggiormente esposta a ricaduta di cenere vulcanica e di materiale piroclastico”.

A ottobre scorso il governatore della Campania ha presentato il piano di evacuazione per il Vesuvio, annunciandone uno anche per i Campi flegrei e promettendo, in caso di eruzione, il salvataggio di “700mila abitanti e 25 Comuni”, grazie a un’evacuazione che dovrebbe avvenire “in sole 72 ore con l’impiego di 500 bus e 220 treni al giorno”. La Regione, data la presenza di sette comuni dell’area rossa, aveva dunque iniziato a lavorare per definire anche il piano di evacuazione per l’area che si estende da Pozzuoli fino all’area occidentale di Napoli, ma dell’approvazione non si è saputo più nulla.

Lo studio su Nature

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