Trofei che si aggiungono ai trofei, numeri ai numeri di una squadra che sta cercando di riscrivere la storia. La Juventus vince ancora la Coppa Italia: la dodicesima in totale, la terza di fila. La Lazio è battuta 2-0: quasi una formalità, per chi ormai è abituato a dominare. E non a caso ha dominato anche stasera: Dani Alves, Bonucci, due gol pesanti dalla difesa, in una partita ammazzata subito e poi controllata, in cui le stelle dell’attacco hanno brillato un po’ meno. Magari in attesa di occasioni ancora più importanti. Basta e avanza comunque per questa Lazio, che forse ha sentito troppo la finale in casa nel suo Olimpico, e per fare tanto ha finito per non fare nulla per impedire il trionfo bianconero. Come nel 2015 e nel 2016, appunto. Ma la coppa di oggi ha un valore assoluto grande, e un senso relativo forse ancora maggiore. Per quello che potrebbe succedere già domenica (il sesto scudetto, quello dei record) e poi il 3 giugno nella finale di Champions League. Per quel sogno chiamato Triplete, distante adesso solo due partite. La prima, la meno importante ma forse la più insidiosa, è già vinta.

Il punteggio, netto, mai in bilico, dice tutto di un successo quasi facile se non si fosse trattato di una finale. La Lazio è durata una decina di minuti, i primi, in cui ha provato ad aggredire l’avversario sospinta dal tifo del suo stadio. E ha pure colpito un palo con Keita, in un avvio ad altissima intensità. Poi il 3-5-2 dei biancocelesti si è perso nella ragnatela bianconera, nelle maglie granitiche della Bbc, nei fraseggi tra le linee di Dybala e Dani Alves. Difficile dire se le scelte del pur bravissimo Simone Inzaghi fossero giuste o meno. Magari la Juve era solo troppo più forte, o la Lazio semplicemente in serata no. Certo la squadra biancoceleste stavolta è apparsa un po’ come un pugile andato all’attacco con la guardia troppo bassa. E lo strapotere bianconero sulle fasce, con gli incroci fra trequartisti e terzini a prendere in mezzo i fluidificanti avversari, ha fatto la differenza. Da qui nasce il gol che spacca la partita.

Un arcobaleno meraviglioso da fascia a fascia, dal sinistro di Alex Sandro che inventa un traversone di 40 metri al destro di Dani Alves che conclude al volo da campione. Un pugno in pieno viso per la Lazio, manna dal cielo per Allegri, che di lì in poi ha potuto giocarsi il match proprio come l’aveva preparato: attesa bassa, ripartenze fulminanti. Solo con un avversario ancor più sbilanciato e stordito dallo svantaggio. L’uscita di Parolo per infortunio è classica pioggia sul bagnato. Infatti Strakosha prova a fermare l’emorragia con un tuffo su Dybala e un autentico miracolo su Higuain sottomisura, ma il raddoppio è solo questione di tempo: arriva su angolo, con Bonucci come sempre puntuale nell’inserimento ma lasciato troppo solo. La Lazio si è già sciolta. La finalissima praticamente è finita dopo 25 minuti.

I biancocelesti impiegano tutto il primo tempo a riprendersi. Poi rientrano dagli spogliatoi con Felipe Anderson (al posto di Bastos) e la voglia di provare almeno a riaprire la sfida. Tanto coraggio, poca lucidità: come quella che manca a Immobile per spingere dentro da due passi la palla che magari avrebbe potuto davvero cambiare le cose. O a Keita, che spara fuori da buona posizione. Difficile, così, segnare due reti alla Juventus, che potrebbe invece sfondare in contropiede: ha pure un paio di occasioni con Higuain, ma si limita ad amministrare, centellinare le energie. La testa è altrove, già prima del 90′ e del fischio finale. Quando il migliore della Lazio sarà ancora il portiere Strakosha, simbolo di una sconfitta che non ammette recriminazioni. Ha vinto la Juve, come al solito. Festeggia, certo, ma stavolta con moderazione: è solo il primo passo.

Twitter: @lVendemiale
Articolo Precedente

Spal promossa in serie A dopo mezzo secolo. Ininfluente la sconfitta per 2 a 1 con la Ternana

next
Articolo Successivo

Il bel gesto di Borriello: vince la scommessa con Vieri ma i soldi li dona in beneficenza. L’attaccante: “Donati tre defibrillatori”

next