Oggi voglio parlare di Giornata mondiale contro l’omo-transfobia. Cominciando con un aneddoto. Ero in treno, giorni fa, tornavo da Lecce per un seminario sulla corretta comunicazione dei temi Lgbt. Ero con Caterina Coppola, la mia compagna di viaggio: a Foggia si sono aggiunti altri tre uomini, proprio accanto a noi, occupando il loro posto vicino a una ragazza. Cominciano a dar segno di essere interessati a lei e per conquistarla uno di loro dice, dell’amico-rivale, “non preoccuparti, è ricchione”. Continuano ancora con battute di tono analogo, condite con affermazioni sessiste: le donne dovrebbero guadagnare di meno, visto che è il maschio a dirigere la baracca in quella cosa complessa chiamata vita. Al che Caterina sbotta: “Alla terza battuta idiota sui gay arriva un bonus?”. L’uomo si rabbuia, i tre attenuano la loro tracotanza. In questo piccolo episodio di ordinaria cafonaggine troviamo tutti gli ingredienti del pregiudizio degli eterosessuali contro i gay.

L’omofobia è un dispositivo culturale: serve per distanziarsi da un’attribuzione di mancata virilità. Facciamo parte di un sistema per cui essere uomo non è un’evidenza anatomica, ma un valore di per sé. Tutto ciò che allontana l’identità maschile dall’essere tale si traduce in perdita di rispettabilità e, quindi, di potere. Il gay maschio mette a dura prova questa rappresentazione: se vai a letto con un uomo, sei come una donna. Per una curiosa coincidenza, il nostro sistema reputa l’esser femmina come disvalore. Il gay quindi è un “maschio che non fa il suo dovere” o peggio: una “femminuccia”. Il dispositivo omofobico scatta da questo tipo di valutazioni. E infatti, il nostro compagno di viaggio per far salire le sue quotazioni agli occhi della ragazza con cui ci provava – per altro con scarsi risultati – non ha trovato di meglio che esaltare la sua virilità sminuendo, secondo lui, quella dell’amico. Ok, è patetico, ma è quello che ci hanno abituato a credere: essere patetici per sentirsi fighi da morire.

L’omofobia però non assolve al suo scopo: dovrebbe difendere la normalità eterosessuale dai gay maschi e invece diventa una minaccia per tutti. Se non si è come un maschio deve essere, scattano derisioni, dileggio, preconcetti e resistenze. Lo spiega molto bene Lorenzo Gasparrini nel suo libro Diventare uomini (edizioni Settenove). Basta essere più fragili, atleticamente non prestanti, più sensibili – soprattutto in età adolescenziale – e l’accusa di omosessualità colpisce anche la vita di persone eterosessuali. Alcuni ragazzi, per l’onta, si sono pure uccisi. Eppure, nonostante questo, c’è ancora chi pensa di poter dire che l’omosessualità è una malattia o uno svantaggio. Pensando, magari, che sia una legittima opinione. Ditelo a quei ragazzi che si sono buttati da un balcone, gay o meno non importa. Se potessero tornare indietro avrebbero qualcosa da obiettare. Fidatevi.

E poi non c’è solo il pregiudizio e l’odio contro i gay maschi. C’è la transfobia, che è particolarmente odiosa perché diviene molto spesso violenza gratuita e giustificata da un insieme di credenze che ci abitua all’equazione “trans = puttana”. C’è il pregiudizio contro le persone bisessuali, descritte ora come ipocrite ora come confuse sessualmente. C’è l’odio contro le lesbiche che molto spesso include sia il pregiudizio sulla sessualità, sia il sentimento misogino. In alcuni paesi, ad esempio, è previsto lo stupro correttivo. Perché non andiamo lontano da quel discorso di cui sopra: il milieu “culturale” è quello di una società che permette al maschio (possibilmente bianco, eterosessuale e cristiano) di stabilire cosa è giusto e cosa non lo è. Spacciando una valutazione morale (e moralistica) per “natura”. Il tutto in virtù del fatto che qualcosa penzola tra le gambe e che, per un mistero della biologia umana, ha la supremazia rispetto alle connessioni neurali.

L’Italia è uno dei paesi più omofobici d’Europa. Con le unioni civili è stato fatto un timidissimo passo in avanti, ma non basta. Siamo dietro Bosnia e Grecia, per capirci. La strada è ancora lunga, ma è lì di fronte ai nostri occhi: occorre legiferare su matrimonio egualitario, adozioni e responsabilità genitoriale alla nascita del bambino, Gestazione per altri (da estendere a tutti e tutte), legge contro i crimini d’odio (possibilmente superando l’obbrobrio che giace in Senato dal 2013), ecc.

E se qualcuno storce il naso, la soluzione è (anche quella) abbastanza palese: può sempre andare a vivere in Russia, in Iran o nel califfato. Lì ci sono modelli di società più consoni a un certo tipo di pensiero. Al di qua del concetto di civiltà e democrazia, invece, c’è il discorso della piena uguaglianza. La Giornata mondiale contro l’omo-transfobia serve a ricordarci tutto questo. E buon 17 maggio.

 

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