Mi sono già occupato dell’opera di Michele Mari, dal mio punto di vista uno dei migliori scrittori contemporanei. Questo saggio-fiume, I demoni e la pasta sfoglia (Il Saggiatore, 2017) conferma la mia opinione. Il concetto di fondo è che alla base di ogni creazione artistica c’è l’ossessione angosciosa della morte e che gli scrittori (quelli con la S maiuscola, i “consigli per gli acquisti per signorine da marito” non sono contemplati) sono costantemente al servizio della propria nevrosi, la assecondano, la celebrano. Scrivendo, decine di uomini e donne, si consegnano ai propri demoni, finché, posseduti, non si trasformano in quegli stessi demoni che hanno tentato di combattere.

E a noi lettori non ci rimane che seguire, come in una perfetta raccolta di racconti, le vicende degli ossessionati, dei feticisti, dei misantropi, dei sadici, dei guardoni, degli estroversi, dei violenti. Da un’epoca all’altra, dai manierismi barocchi alla letteratura gotico-fantastica, dai paesaggi esotici reali di Conrad a quelli immaginati da Salgari, dai tre puntini di sospensione di Céline alle solitudini di London, dall’affabulazione di Stevenson alle angosce adolescenziali di Hoffmann. È un’affascinante e lunghissima carrellata documentata e scritta in modo impeccabile che può essere letta seguendo le proprie simpatie e i propri gusti letterari.

Dall’esperienza diretta della catena di montaggio nasce Lotte di classe (La Vita Felice, 2017) di Luca Bassi Andreasi. Si tratta di liriche private, leggibili però da chiunque. Un tentativo riuscito di dare una testimonianza dal mondo del lavoro, molto diversa da quella, spesso patinata, appiattita, farcita di luoghi comuni, a cui ci hanno abituato i media. È un tributo alla meraviglia delle piccole cose quotidiane, alle contraddizioni umane, alla forza interiore dei lavoratori. Con un linguaggio semplice ed efficace l’autore mette a nudo le bassezze italiane, e non solo, lasciando ogni giudizio morale al lettore. Un piccolo grande libro che farà riflettere colui, o colei, che vi si imbatte.

Ghassan Kanafani è considerato, a ragione, una delle voci più interessanti del panorama della letteratura araba e palestinese. Assassinato insieme alla nipote sedicenne a Beirut nel 1972 da un ordigno esplosivo collocato dal Mossad come vendetta contro un attentato terroristico attribuito al Fplp, Kanafani ha lasciato romanzi, racconti, opere teatrali tradotte in tutto il mondo. È uscito da poco, in Italia, Tutto ciò che vi resta (traduzione di Emanuela Capobianco, Cicorivolta Edizioni, 2017), romanzo che trae ispirazione dalla tragedia personale e al contempo collettiva del suo popolo. Con uno stile asciutto, profondo e delicato il libro narra la storia dei fratelli Hamid e Maryam, obbligati, loro malgrado, a percorrere strade diverse ma parallele, fino a giungere alla consapevolezza di una forte identità culturale, sociale, politica e affettiva che è specchio della realtà dell’esodo e dello sradicamento che l’autore ha sempre cercato di rendere universale nei suoi testi.

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