La tragedia di ciò che è rimasto della sinistra, ovvero le sue macerie, non sta solo nelle parole di Debora Serracchiani a proposito della maggiore gravità dello stupro se esso è commesso da un migrante. No, la tragedia risiede nella stura che quelle parole hanno dato al razzismo democratico di tutti coloro che, da sinistra, vi si sono riconosciuti e le hanno sottoscritte. I social, difatti, pullulano di ‘serracchianismi’ a proposito di quanto l’ospite sia tenuto al rispetto delle regole proprio in quanto egli si trova in una situazione di debito nei confronti di coloro che gli concedono tale gentilezza.

L’argomento ha anche un risvolto di diritto penale immaginario, ovvero richiama l’articolo 61 comma 11 del Codice penale italiano, che effettivamente prevede un’aggravante al reato per “l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità”. Tuttavia, ciò che Serracchiani e tutti quelli che si sono messi nella sua scia, venendo finalmente allo scoperto perché legittimati da una fonte ‘autenticamente democratica’ (Serracchiani è vice-segretario nazionale del Pd e presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia) e non dall’orrido Salvini o da Luigi Di Maio, hanno fatto è sovrapporre indebitamente una relazione fiduciaria personale (l’ospitante e l’ospitato) con un diritto che coinvolge uno Stato e un soggetto. Tra questi due non intercorre una relazione minimamente paragonabile alla prima, quella sì individuata dal Codice al fine di punire più gravemente colui che la tradisca abusandone.

Questa tragica confusione ha un retro-pensiero che è però già stato sanzionato dalla Corte costituzionale nel 2010, e che era stato enucleato nell’art. 61 comma 11-bis, il quale in effetti prevedeva come aggravante che l’autore del reato fosse illegalmente sul territorio nazionale. Naturalmente la Corte ha spazzato via quell’abominio. Per l’ospite vero, colui che viene cioè ospitato da Tizio e violenta la di lui figlia, il codice prevede l’aggravante perché di sostiene che l’autore del reato abbia abusato di una relazione fiduciaria che intercorreva tra l’ospitante e l’ ospitato: ti ospito a casa mia e tu tradisci la mia fiducia, abusi del mio gesto di gentilezza e generosità.

Serracchiani e i suoi turiferari pensano alla relazione tra il migrante e il paese che lo ospita così come il legislatore del comma 11-bis la pensava: come una concessione gentile, un favore a cui corrisponde un più forte dovere di lealtà. Anzi, la superano a destra, poiché il comma 11-bis parlava del migrante che si trovasse ‘illegalmente’ sul territorio nazionale, mentre Serracchiani parla del migrante tout court, e non del migrante che non abbia titolo a stare in Italia.

L’epitome di quanto in certi circoli democratici la civiltà giuridica abbia lasciato il posto all’incultura xenofoba è fornita da Michele Serra, che nella sua Amaca di ieri parla di un “patto di ospitalità” tradito. Serra, sulla scia di Serracchiani e sulle stesse posizioni di Forza Nuova e di CasaPound, pensa anch’egli all’Italia come a una comunità di destino in cui i cittadini (o gli indigeni, come preferisce chiamarli) sono stretti attorno a un patto che chi arriva sottoscrive e deve rispettare più e meglio degli autoctoni. Dietro risuona il protervo “a casa mia”.

La Corte (249/2010) aveva scritto che “la qualità di immigrato «irregolare» diventa uno stigma, che funge da premessa ad un trattamento penalistico differenziato del soggetto, i cui comportamenti appaiono, in generale e senza riserve o distinzioni, caratterizzati da un accentuato antagonismo verso la legalità”, e aveva bocciato questo trattamento di sfavore che oggettivava una condizione violando non solo il principio di uguale trattamento, ma anche l’art. 25 secondo comma della Costituzione, che parla di “fatto commesso” e a esso lega le conseguenze penali della condotta, prescrivendo “in modo rigoroso, che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali” (sono ancora parole della Corte).

In altri termini, il reato del migrante illegale, per il solo fatto di essere tale e al di là di ogni elemento soggettivo, veniva considerato più grave. Per Serracchiani il reato è più grave non più per la condizione di illegalità del migrante, ma per la sua condizione di migrante tout court o addirittura di profugo (ovvero colui che scappa dalla guerra, per esempio, e chiede asilo e protezione internazionale all’Italia), e dunque – nel suo ragionamento – di ospite.

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