Il rock sposta il proprio palcoscenico dagli stadi alle gallerie dei musei e il Victoria and Albert di Londra – dopo il successo mondiale della mostra su David Bowie – accetta la sfida e apre le porte alle celebrazioni della storia dei Pink Floyd con la monumentale retrospettiva “Pink Floyd: Their Mortal Remains”, ospitata dal 13 maggio al 1 ottobre. La mostra segue un percorso cronologico ed è ricca di memorabilia, imponenti gonfiabili e scenografie, strumenti musicali splendidi come la batteria Ludwig (con la riproduzione di “The Great Wave” dell’artista Hokusai) e vere e proprie icone del suono Floydiano come la “Black Strato” di Gilmour e l’organo Farfisa Compact Duo di Wright.

Dal momento in cui accede all’interno della riproduzione in scala gigante del Bedford van, il visitatore inizia la sua discesa nel “tunnel del Bianconiglio” e ad ogni tappa un mondo unico e diverso dal precedente – seppure visceralmente collegato ad esso – si rivelerà. Gli esordi e i mesi magici del ’67 con le date all’UFO club di Londra – locale dalla vita breve ma fondamentale – vengono ricordati nel primo corridoio non solo con locandine dell’epoca, ma anche con il caratteristico gioco di luci psichedeliche che caratterizzava i concerti del gruppo. Il rudimentale proiettore del tecnico delle luci Peter Wynne Willson fa bella mostra nell’ampia sala che racconta gli inizi discografici della band. Particolare attenzione viene riservata ai concerti che avrebbero influenzato la storia futura del gruppo: il famoso “Games For May” del ’67 dove per la prima volta la band sperimenta un sistema di gestione del suono quadrifonico attraverso l’utilizzo dell’Azimuth Coordinator, e la performance a carattere teatrale di “The Massed Gadgets Of Auximenies” del ’69 (che vede nella suite “The Man/The Journey” i primi semi di “Dark Side Of The Moon”). Vengono evidenziati gli studi in architettura di Waters, Mason e Wright che avrebbero poi influenzato la concezione di concerto negli anni a venire. Si racconta l’esperienza di Pompei, la ricerca di nuove strade attraverso la composizione di colonne sonore (“More”, “Zabriskie Point”, “La Vallée”) e di suites che occupano un’intera facciata del vinile (“Atom Heart Mother” e “Echoes”).

In quest’ultimo caso a sottolineare la fase transitoria, gli album “Atom Heart Mother” e “Meddle” vengono inseriti su due facciate di una teca isolata dal resto, con le vetrine che richiamano il long playing. Tra i tanti oggetti che caratterizzano Barrett, fanno bella mostra la replica della sua famosa Esquire, lo zippo utilizzato per trasformare i suoni della sua chitarra, e da pittore (del suono) prestato alla musica, un suo ottimo quadro astratto. Poi c’è la sua bicicletta, posizionata in alto, quasi a sottolineare il non canonico e brillante punto di vista di Barrett: “Alone in the clouds all blue, lying on an eiderdown. Yippee! You can’t see me, but I can you”.

Il breve e scuro passaggio con l’olografia del prisma di “Dark Side Of The Moon” (ennesima copertina dei Pink Floyd a marchio Thorgerson) avverte il visitatore che “Il bambino è cresciuto, il sogno è finito”. Il successo di “Dark Side Of The Moon” – che tra i tanti oggetti ad esso collegati vede esposti il sintetizzatore VCS3 usato per comporre “On The Run” e la striscia di monete utilizzata da Waters per creare parte dell’intro di “Money” – catapulta la band in una nuova e complessa fase. La piccola sala che omaggia “Wish You Were Here” – ponendo grande risalto all’aspetto grafico – ricorda attraverso una polaroid di Syd Barrett l’altissimo prezzo pagato da quest’ultimo, ma anche quanto Syd abbia continuato ad essere presenza costante nella storia della band, tanto da essere omaggiato apertamente in “Shine On You Crazy Diamond”.

La fase della consapevolezza – che vede Waters al comando – è caratterizzata dall’approfondimento di temi esistenziali e politici ma anche dalla messa in pratica di quanto Barrett aveva teorizzato anni prima: “In futuro i gruppi dovranno offrire molto di più che un semplice concerto pop. Dovranno offrire un’esperienza teatrale ben presentata”. “The Wall” è una mastodontica opera rock e nell’enorme sala del V&A prende vita attraverso il gigantesco muro con annessi – tra gli altri – i gonfiabili protagonisti del tour di “The Wall” e “Animals”, la riproduzione della stanza dell’hotel Tropicana e il soldato della copertina di “The Final Cut”. Il muro circonda quasi interamente la monumentale riproduzione della Battersea Power Station, utilizzata per la copertina di “Animals”, all’interno della quale viene dato risalto non solo al processo di creazione della copertina e alla strumentazione, ma anche al contesto politico e alla commistione tra architettura e intrattenimento.

L’ultima fase, quella con Gilmour al timone, conferma la volontà di portare avanti spettacoli articolati e dall’impatto scenico mozzafiato. Anche in queste sale tutto appare gigantesco se paragonato agli inizi della band: dalle riproduzioni delle teste di “The Division Bell” fino ai petali della mirror ball utilizzata in “Comfortably Numb” durante il tour, passando per i letti della stravagante e dispendiosa copertina di “A Momentary Lapse Of Reason”. L’ultima sala è un’esperienza sensoriale: il video “Comfortably Numb” estratto dal Live 8 del 2006 – che aveva visto la band riunirsi dopo più di vent’anni – viene riprodotto con tecnologia audio AMBEO 3D. Sul finale le immagini iniziano a tingersi dei famosi colori psichedelici che caratterizzavano i primi concerti della band, una chiusura del cerchio perfetta e commovente. Cinquant’anni di musica magistralmente raccontati e in grado di accontentare il fan più esigente tanto quanto l’ascoltatore occasionale.

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