Come osservato da molti commentatori, il web ha dato ampia visibilità a opinioni che in precedenza faticavano a trovarla. Un allarme particolare viene dall’uso del web per diffondere tesi negazioniste, tanto che l’Italia ha introdotto nel 2016 una legge che definisce il reato di negazionismo. Il problema della diffusione sul web di una controcultura retrograda però non si limita al negazionismo: è pervasivo, e spazia dalla sanità all’economia, oltre che alla storia e all’economia. E’ chiaro che non è possibile opporsi per legge a tutte le manifestazioni della controcultura: una risposta sul piano culturale, che ne smascheri i meccanismi dialettici, è necessaria.

Le controculture possibili differiscono per i loro contenuti, ma in molti casi condividono una metodologia comune, che può essere studiata come un fenomeno sociologico. Per schematizzare, qualunque sia il tema trattato, esiste una interpretazione di maggioranza, largamente condivisa dagli esperti, che possiamo chiamare l’ipotesi A (ad esempio: “c’è stata la Shoah”; oppure “i vaccini sono utili”; o anche “i viventi attuali derivano dall’evoluzione”). Esiste poi, o viene creata, una ipotesi alternativa B (“non c’è stata nessuna Shoah”; oppure “i vaccini fanno male”; o anche “i viventi attuali sono il prodotto di un disegno intelligente”). Fin qui nulla di male: il pluralismo delle ipotesi è utile al progresso della conoscenza. Ma la strada del confronto tra le ipotesi A e B si biforca: la scienza procede in un modo, la controcultura in un altro.

Se uno scienziato decide di valutare l’ipotesi di minoranza B, quello che fa è condurre esperimenti o cercare dati a sostegno di B; meglio ancora, se possibile, conduce esperimenti il cui risultato possa essere alternativamente compatibile con A o con B, ma non con entrambe. Il difensore della controcultura, invece, si mette a studiare A e ne cerca anche i più minimi difetti con l’intento di screditarla. Per farlo si atteggia a rigoroso sostenitore del metodo scientifico e scarta qualunque prova che non raggiunga lo standard che egli stesso impone, un metodo che Primo Levi aveva descritto in questo modo: “Cercano una crepa nella quale infilare una leva per cercare di far crollare l’intero edificio”.

Ho proposto un piccolo esempio (umoristico) di controcultura in un post precedente. Il metodo dialettico della controcultura è in genere possibile per due ragioni: in primo luogo ogni descrizione storica o scientifica è una approssimazione, e lascia una quota di varianza o di informazione non spiegata, che da appiglio alla critica; in secondo luogo la controcultura è propaganda e vuole convincere un pubblico inesperto, non gli esperti. Il difensore della controcultura non si avventura a valutare criticamente l’ipotesi B perché sa che è insostenibile, e non cerca dati o fa esperimenti per renderla sostenibile, perché sa che è impossibile.

La differenza principale tra il metodo scientifico e il metodo della controcultura è la seguente: il metodo scientifico aumenta la nostra conoscenza, cioè aumenta l’informazione disponibile o riduce la quota di varianza non spiegata; il metodo della controcultura non aumenta l’informazione ed anzi può far aumentare la quota di varianza non spiegata: cerca di abbattere una ipotesi accettata in nome di uno standard qualitativo superiore, che però non viene raggiunto. Ad esempio, i sostenitori del disegno intelligente criticano come scientificamente implausibile l’evoluzione di organi complessi, ma non si preoccupano del fatto che la loro ipotesi richiede un evento trascendente, cioè un miracolo, nel percorso evolutivo, necessariamente sottratto a qualunque possibilità di indagine scientifica. Se la loro impresa avesse successo, una buona ipotesi scientifica sarebbe sostituita da una pessima ipotesi magica.

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