“È così io procuro malati e gente per il dolore … vengono perché ci sei tu e di mezzo ci sono io mollano il 10% e permetti non è che lo facciamo sempre per loro. Loro guadagnano i soldi e noi un cazzo…”. Così un luminare, che si definiva “boss”, parlava con la moglie di come si faceva corrompere dalla case farmaceutiche. Guido Fanelli, 62 anni, è dai ieri ai domiciliari insieme ad altri 18 indagati (anche se la procura di Parma di arresti ne aveva chiesti 45) per un’inchiesta del Nas, coordinata dalla Procura di Parma, che ha svelato un’associazione a delinquere che aveva il suo cuore in un professore universitario. Un medico che definiva i rappresentati delle aziende che lo pagavano “marchettari” che “passano da me e lasciano il 10% al maritone” come si legge nelle 536 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare.

Il docente di Anestesia e Rianimazione all’Università di Parma, titolare di diversi incarichi pubblici ed estensore della legge sulla Terapia del Dolore del 2010, così era riuscito a farsi comprare anche uno yacht; il Pasimafi V che ha dato anche il nome all’operazione dei Carabinieri. Un potere grande quello di Fanelli: “Non è che faccio il boss, sono io e basta, comando io. Io rompo i coglioni di misura ma il risultato c’è sempre con me…” diceva. “Io ho il centro Hub del dolore più grosso d’Italia con 19mila interventi no! Io ho la mia forza politica che sposto milioni di euro perché con la forza scientifica non politica, perché noi scriviamo una roba e tutti vengono dietro…” si vantava.

I risultati di questa “forza scientifica” erano diversi e tutti a discapito della sua missione di medico: far sperimentare sui pazienti della Rianimazione una “volgare pompa di infusione, del cazzo peraltro“; oppure fornire pazienti all’azienda amica che doveva fare ricerca su un farmaco oncologico o un integratore. Senza avvisare, naturalmente, i diretti interessati e tantomeno la commissione etica preposta. Fanelli la faceva sempre facile e breve: “… facciamo una specie di Pilot senza comitato etico di valutazione proprio brutale clinica … di valutazione esterna nostra”.  Sui corsi di formazione invece la sintonia con i privati era talmente forte che le ditte decidevano argomenti, relatori ed addirittura arrivava a selezionare i partecipanti. Ma si andava anche oltre arrivando addirittura modificare a pubblicazioni scientifiche ad hoc, e pilotate, sull’argomento. E poi Fanelli poteva contare anche sull’ascendente esercitato su qualche collega come il direttore di un dipartimento definito “un cagnolino” una volta che aveva ottenuto l’approvazione di un dispositivo. “Ho creato un sistema. Io prendo soldi dall’uno e dall’altro in maniera uguale e paritaria, sono bravo a tenere il piede in quattro o cinque scarpe”. E poco importa che qualcosa possa andare storto come ipotizza uno degli indagati, l’imprenditore Giuseppe Vannucci, che vuole far sperimentare dei filtri svedesi ottenendo tutte le autorizzazioni del caso e il placet di Fanelli: “In modo che se muoiono 100 persone con questo filtro non va in galera nessuno”. Il professore non solo favoriva le case farmaceutiche amiche, ma a talvolta forniva loro anche informazioni riservate: “Mi sono arrivati dei files bellissimi – dice in una conversazione intercettata il 3 agosto 2015 sempre con la moglie – notizie scientifiche molto interessanti” poi girate via Whatsapp agli amici: “Sai è il mio lavoro lo spionaggio industriale…”.

Per questo il gip di Parma Maria Cristina Sarli non esita a definire Fanelli “un uomo che in modo incessante e, a tratti compulsivo, agisce con tutti i mezzi a sua disposizione per realizzare i propri obiettivi”. Una capacità che gli viene ampiamente riconosciuta anche da uno dei manager indagati che gli dice: “Non dovevi fare il professore … non dovei fare il professore tu dovevi fare il direttore di marketing… devi fare devi fare il vice presidente di una multinazionale“. E a guardare la sua pagina Facebook il professore faceva una vita da top manager: viaggi, convegni, foto in barca e in vacanza, selfie con una piatto di crostacei e ostriche. Ma mai una foto con il camice da lavoro.

I capi di imputazione contestati, a vario titolo dalla Procura agli indagati, sono 72 e a Fanelli ne sono contestati 15. A un certo punto il nome di uno degli ultimi capitoli è “abusi vari” come se l’accusa non avesse più parole a definire una serie così lunga di reati. Tutto finalizzato all’accumulo di denaro e tutto più o meno conosciuto anche da qualche collega. Una in particolare, definita estranea ai fatti dal gip, parlando con Fanelli sembra rimproverarlo: “… però uno non è che può… soldi soldi soldi… ma tu sei un disperato… sì però ma te sei un disperato perché sei in un meccanismo dove sei schiavo cioè io te l’ho già detto mille volte non lo capisci e lo capisci è come per tutte le esperienze che hai dovuto fare capisci quando ci arrivi in fondo … (omissis) … ma io non mi preoccupo io ti dico solo … cioè voglio dire non è che uno può lo so poi dopo … io penso altro se lo fai su vede che ti fa piacere perché altrimenti uno non lo farebbe no? … ma è tutto una tribolazione … sì ma ascolta finalizzata a che cosa? A far la piscina, a comprar la barca per andarci con chi non te ne frega un cazzo, te sei pazzo cioè io non lo so è una roba che io non capisco proprio ma davvero non riesco a capirla”. E probabilmente non potranno capirlo neanche coloro la cui sofferenza è stata utilizzata, come ritengono gli inquirenti, per arricchirlo di almeno 600mila euro.

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