Ottocento euro sono ottocento euro, fa certamente comodo averle ed è meglio di zero: è una frase banale ma rappresenta una premessa indispensabile per evitare eventuali accuse di demagogia. Ma il problema del bonus mamme resta sempre lo stesso: è un bonus, appunto, che in quanto tale è l’esatto contrario delle politiche sociali “vere”: che sono fondi strutturali, bipartisan (nei Paesi con una cultura politica diversa dalla nostra) e a tempo indeterminato per chi, come le famiglie, ha ovviamente figli a tempo indeterminato, o quanto meno per un tempo lunghissimo.

C’è un aspetto però che spiega il successo incedibile del bonus: le richieste sono state altissime non solo perché la procedura era semplice e accessibile, ma soprattutto perché si è trattato, e questo è positivo per quanto possa avere un vago sapore elettorale, di un bonus universale, senza vincoli di età e indipendente dal reddito, quindi dalla presentazione di faticosa documentazione, reddito Isee, e quant’altro. Può sembrare qualcosa di iniquo, anche i ricchi lo hanno preso, ma in realtà l’universalità è proprio una caratteristica dei welfare più evoluti, come la Francia o la Svezia, mentre da noi spesso la presentazione dell’Isee è uno strumento fatto per escludere, visto che le soglie solitamente sono così basse che il ceto medio, quello che avrebbe bisogno dei sussidi, non riesce mai ad accedervi.

Il problema dunque non è l’universalità, ma il fatto che si tratta di un “welfare una tantum“, una modalità molto usata nel nostro Paese nell’ambito delle politiche sociali (anche madri in difficoltà e disabili spesso ricevono contributi una tantum, una cosa ridicola visto che non si vive “una tantum“). In verità il bonus mamme dato alla nascita esiste in quasi tutti i Paesi europei. Ma è pensato, appunto, per le prime spese, carrozzina, lettino etc., tanto che in molti Paesi si dimezza quando si ha il secondo figlio, proprio perché si presuppone che i genitori useranno la stessa carrozzina e lo stesso lettino del primo figlio.

“Peccato” che, dopo il bonus, inizino le vere e proprie politiche sociali: in genere si tratta di alcune centinaia di euro per figlio, date universalmente (o quasi) e fino al compimento del 18 anno del bambino. Ci sono Stati addirittura che oltre a questo aprono un “conto” dove depositano soldi che poi potranno essere utilizzati dai bambini una volta maggiorenni (come la Norvegia). In più, ma è inutile ripetersi troppo, accanto a questi soldi che lo stato dà ci sono asili nido, scuole aperte fino a tardi, sport accessibile a poche decine di euro al mese (o all’anno), attività di ogni tipo sempre fatte dalle scuole e a poco prezzo, forme di conciliazione tra vita e famiglia, politiche del lavoro favorevoli ai genitori come il part time e il congedo paternità, e così via.

La differenza tra noi e questi Paesi sta tutta qui: lì le politiche per l’infanzia sono così robuste da spingere le persone a fare figli. Qui da noi, misure come il bonus non spingono proprio nessuno a fare un figlio (d’altronde sarebbe semplicemente folle), invertendo la nostra demografia impazzita. Semmai sono quelli che hanno già deciso di fare un figlio, facendosi i conti in tasca e quasi sempre contando sull’aiuto di una famiglia, cercano di accaparrarsi quelle poche centinaia di euro che lo Stato gli dà, finalmente senza chiedere documenti di ogni tipo, per ammortizzare qualche spesa viva, consapevoli che il 99 per cento del carico se lo dovranno comunque prendere loro, senza aiuto alcuno dallo Stato.

C’è chi sostiene che i figli si dovrebbero fare comunque, senza stare a lamentarsi troppo o ricorrere sempre all’aiuto dello Stato. Può essere un punto di vista, peccato che i dati lo smentiscano drasticamente, visto che le coppie italiane i figli hanno smesso di farli in blocco e difficilmente si può pensare che milioni di giovani siano tutti vittime di una cultura della lamentela e della dipendenza dallo Stato. È un rapporto di causa effetto banale: lavoro sicuro e buon reddito (o reddito medio più aiuti dello Stato) uguale figli. Lavoro precario e assenza di welfare uguale niente figli. Sarà noioso, ma purtroppo c’è poco altro da aggiungere.

Articolo Precedente

Taranto, “L’altra città”: un percorso interattivo nella realtà carceraria

next
Articolo Successivo

Aborto, continua la guerra alla legge 194 contro la salute delle donne

next