La sanzione erogata dall’Ordine dei Medici di Treviso nei confronti del collega Dott. Roberto Gava, oggetto di numerosi commenti su vari quotidiani, e da parte di personalità quali il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi e il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, solleva un problema etico non banale, che rischia di essere soffocato dal rumore della polemica. A titolo personale auguro al collega dottor Gava di poter chiarire le sue posizioni nelle sedi opportune. In termini generali, e quindi impersonali, non posso fare a meno di osservare che le posizioni pubblicamente espresse dai legali del dottor Gava, appaiono quantomeno semplicistiche ed inappropriate al contesto della vicenda. La tesi secondo la quale “il dottor Gava è stato condannato soltanto per le sue idee” sulle vaccinazioni è fuorviante.

L’Ordine ha erogato una sanzione molto severa, le cui motivazioni dettagliate non sono ancora disponibili al momento in cui scrivo, per almeno una chiara violazione del Codice di Deontologia Professionale. Infatti l’art. 55 del Codice Deontologico stabilisce quanto segue: “Informazione sanitaria. Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso,  idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale”. E’ quindi pianamente evidente che il Codice impone al medico l’obbligo di diffondere “le conoscenze scientifiche acquisite”, non “le proprie idee”. E’ perfettamente legittimo che il medico commenti pubblicamente, anche in modo critico, le conoscenze scientifiche acquisite, ma questo commento critico trova il suo limite invalicabile nel “rischio di alimentare aspettative o timori infondati”.

Per fare un esempio: i dati di mortalità del morbillo e del suo vaccino (che ha sollevato il maggior numero di polemiche) presentano variazioni piuttosto consistenti tra studi statistici diversi, che è perfettamente lecito analizzare. Non può però essere lecito dubitare che la letalità della malattia sia di molto superiore a quella del vaccino: qualunque stima scientifica si voglia adottare, la malattia è tra 30 e 1000 volte più pericolosa del vaccino. Chi afferma il contrario interpreta i dati in modo erroneo, se non fraudolento, e, se è un medico, viola l’art. 55 del Codice Deontologico. Anche nel caso in cui il medico ritenga che siano necessari dati migliori di quelli attualmente disponibili, il principio di massima cautela suggerisce di consigliare al paziente tutte le vaccinazioni indicate per la sua fascia di età e di rischio. Infatti, in assenza di controindicazioni (ipersensibilità accertata nei confronti di componenti del vaccino o immunodeficienze di qualunque tipo), il paziente corre meno rischi vaccinandosi che non vaccinandosi, e non è lecito al medico consigliare al paziente il comportamento più pericoloso nell’aspettativa che studi successivi ribaltino totalmente quanto oggi sembra accertato.

Il medico è meno libero di un qualunque cittadino, nella libera espressione del suo pensiero? In un certo senso, e limitatamente ad alcuni ambiti, . O meglio: il privato cittadino non può essere perseguito se, sbagliando, confonde la propria soggettiva opinione con una ipotesi scientifica; il medico che faccia questa confusione commette un illecito deontologico perseguibile dall’Ordine Professionale. In certi ambiti, e per professionisti specificamente formati, sbagliare costituisce una colpa professionale.

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