A sorpresa nel 14esimo rapporto del centro studi Isfort sulla mobilità emerge che: gli spostamenti degli italiani sono in calo, cresce ancora l’uso dell’auto privata ai danni del trasporto pubblico e quindi dell’ambiente. Nel 2016 gli italiani hanno passato 40 milioni di ore in strada per i loro spostamenti. Secondo il rapporto di Isfort, negli ultimi 15 anni, la domanda complessiva di mobilità, in Italia, si è contratta del 15,2% e anche il numero dei passeggeri-chilometro totali è diminuito (rispetto al 2008) del 23,9% (da 1.561 a 1.188 milioni di passeggeri al km nel 2016). Si è ridotta la mobilità anche per effetto della crisi tuttavia è aumentata la quota di trasporto sul mezzo privato automobilistico.

Riguardo alla mobilità sostenibile, nonostante il significativo miglioramento registrato nel 2016, i mezzi più ecologici (piedi, bici, trasporto pubblico) perdono oltre sei punti di quota modale tra il 2002 e il 2016 (passando dal 37,2% al 31,1%). Resta invariata dunque la passione degli italiani per l’automobile al netto delle crisi ambientali e dei continui inviti della Ue affinché si riduca l’inquinamento dell’aria nelle aree urbane: la Commissione europea, invece, ha deciso di andare avanti con la procedura d’infrazione per le troppe emissioni di Pm10, le pericolose polveri sottili per la salute dell’uomo. Il mercato delle vendite di auto è risultato in significativa crescita nel 2016, raggiungendo quasi i 38 milioni di veicoli con un tasso di motorizzazione pari a 62,4 ogni 100 abitante. Nel frattempo, il mercato del trasporto pubblico urbano rimane molto squilibrato, in particolare nelle aree metropolitane.

L’analisi evidenzia il nodo strutturale della “carenza di adeguati servizi ferroviari” nel trasporto delle aree urbane rispetto al resto dell’Europa. Confronto che fa emergere un enorme divario di efficienza e produttività: politiche integrate dell’offerta dei servizi e delle tariffe sono praticamente assenti sia nelle aree urbane che in quelle extra-urbane; le più grandi aziende di trasporto pubblico (ad esempio Atac di Roma) sono in perenne crisi tecnico/economica.

In Europa negli ultimi decenni la liberalizzazione del settore e l’adozione di meccanismi competitivi per l’affidamento dei servizi ha potenziato e migliorato l’offerta di trasporti pubblici e reso efficiente la spesa pubblica nel settore. La situazione italiana si caratterizza invece per l’assenza di meccanismi competitivi nell’affidamento dei servizi di trasporto pubblico sia per autobus urbani ed extra-urbani che per i treni regionali: le competenze istituzionali restano troppo frammentate senza nessuna regia capace di ottimizzare la spesa pubblica del comparto.

L’inerzia amministrativa e consociativa del regolatore pubblico prevale sulla necessità di cambiamento e di innovazione del sistema dei trasporti. La sorpresa dei dati elaborati dall’Isfort sta anche nel fatto che in molte città si è dato vita ad una vera e propria offensiva in favore del trasporto sostenibile con il lancio di massicci (e costosi) sistemi di bike-sharing, nuove aree pedonalizzate, il lancio del car-shering e l’introduzione di pedaggi per l’ingresso (area C) a Milano ma lo split modale del tpl è rimasto inalterato, anzi è peggiorato. La squilibrata ripartizione modale a favore della gomma (ciò vale anche per le merci), che distingue la mobilità italiana da quella degli altri Paesi europei, si ripercuote sull’ambiente, sul reddito delle famiglie italiane oltre che sulla vivibilità in città. Occorre costruire una rete di servizi pubblici di trasporto in grado di migliorare la qualità della vita e la competitività nelle nostre aree metropolitane e ridurre il gap nella gestione da parte delle imprese dei trasporti. Non è la carenza di infrastrutture stradali o ferroviarie la causa dei nostri mali ma il loro scarso utilizzo, autostrade vuote come la Brebemi, tratte di alta velocità sottoutilizzate come la Torino-Milano o come la metropolitana di Brescia (che trasporta un terzo di passeggeri della gemella M5 di Milano) devono servire da monito sul come fare i futuri investimenti pubblici.

Governo e Regioni puntano il dito, sbagliando, sulla carenza infrastrutturale anche per cercare un alibi dei fallimenti organizzativi e gli scarsi risultati nell’utilizzo e nella soddisfazione per il cittadino dei trasporti pubblici. In realtà sono i meccanismi gestionali (protetti e monopolisti) che impediscono lo sviluppo e la qualità dei servizi resi che tengono lontani i potenziali utenti diventando così “forzati dell’automobile” loro malgrado ma vicina la politica nella gestione clientelare di un settore importante della spesa pubblica.

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