“Il motivo per cui siamo tutti incazzati? Nasce dal fatto che conduciamo una vita che non ci piace ma non perché siamo viziati, semplicemente perché nella maggioranza dei casi siamo onesti cittadini che cercano di fare al meglio il proprio lavoro, quando ne abbiamo uno”. Daniele Vicari è ben consapevole che il suo Sole cuore amore sia l’espressione di uno scontento contemporaneo, quasi all’unanimità partecipato, almeno sulla base della comprensione.

Presentato in anteprima mondiale lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma e in uscita il prossimo 4 maggio in circa 50 copie per conto della Koch Media, il film è stato prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci che – a detta del regista “ha capito immediatamente la portata del discorso contenuto nella sceneggiatura, che mi è nata di getto in 48 ore come uno sfogo emotivo, quasi in stato di trance“. Opera indubbiamente necessaria, lavora sui tessuti rappresentativi del neorealismo mescolati a quelli della narrazione post moderna, laddove alterna il racconto della vita della giovane barista Eli, madre di 4 figli e moglie di un disoccupato, a quella della coetanea Vale, performer sua vicina di casa, che ha rinunciato alla vita borghese suggeritale dalla madre pur di tentare di soddisfare i propri sogni. Due esistenze in parallelo suggellate dal sacrificio in nome della sopravvivenza (la prima) e della dignità (la seconda). Ma è soprattutto la tragedia quotidiana di Eli, interpretata da un’intensa Isabella Ragonese, a destare la partecipazione emotiva: una donna che si alza ogni giorno alle 4.30 del mattino percorrendo un viaggio di due ore (almeno) per recarsi dalla località di Nettuno sul litorale laziale a Roma, dove è barista full time e 7/7 giorni per 800 euro mensili, in nero. La sua esistenza si traduce nel “teniamo duro” di andare avanti, esplicitato al marito quando si accorge di non avere alternative. “Eli – spiega Vicari- non vede la possibilità di ribellarsi perché ha il problema di portarsi a casa lo stipendio, e sa perfettamente che se si ribellasse perderebbe l’unica possibilità realistica che ha al momento”.

Il punto di Sole cuore amore – desunto dal pop refrain anni ’80 di Dammi tre parole per la voce di Valeria Rossi – sta nel suo voler essere una risposta “sentimentale” alla tragedia sociale esibita. Per Vicari, infatti, l’ispirazione è arrivata essenzialmente dalle figure femminili che ama di più, dalla madre, dalle sorelle, da alcune amiche, oltre che a basarsi su una storia realmente accaduta. In tal senso il suo desiderio non era fare un film ideologico e sulla “rivoluzione” bensì sulla vittoria dei sentimenti rispetto a tutto il resto: il personaggio di Eli rinuncia a tutto ma non all’Amore in senso pieno, consapevole di aver fatto la scelta che desiderava, ovvero sposarsi e avere (molti) figli. “Il paesaggio che ho descritto – aggiunge ancora l’autore nato e cresciuto nella provincia di Rieti – è quella che io definisco “interzona”, ovvero non la periferia sfigata governata da spacciatori e tossici e neppure il centro borghese: piuttosto è quella situazione ambientale media, “normale” in cui vive la maggioranza delle persone. Il vero problema è che questo luogo è diventato sintomatico di un mondo che abbiamo reso inadatto agli esseri umani. E questo è un paradosso”. Le conseguenze sono più che evidenti nella discesa agli inferi esemplificata nella vicenda di Eli, costretta come moltissime persone, “a negoziare i propri diritti per qualche euro in più. Credo questa sia la vera tragedia contemporanea”. Da un punto di vista formale, Sole cuore amore organizza il proprio dispositivo semantico attorno alla danza quale metafora corporea di un agire/essere agiti quasi esclusivamente sul piano emozionale: una struttura rischiosa per un film non privo di difetti ma senza dubbio tra i più necessari degli ultimi tempi.

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