Ahmed è arrivato in Europa con una barca, ha indossato lo zaino ed è partito senza dir nulla alla famiglia. Sul barcone avevano solo scatole di latta e datteri, perché se la barca affonda, loro galleggiano. “Nel centro d’accoglienza l’hanno lasciato andare perché minorenne, e lì ha lasciato anche il suo zaino a un compatriota costretto a restare. È letteralmente arrivato in Europa in maglietta e calzoncini”. Ahmed è uno dei tanti ragazzi che Emanuela Pilolli segue nel carcere minorile maschile di Berlino. Nella capitale tedesca, la 30enne pugliese lavora attraverso il teatro con minori la cui esperienza di vita potrebbe portarli ad abbracciare movimenti di estremismo religioso o politico, “ragazzi con passati difficili che si trovano in carcere non per inclinazione criminale ma per triste necessità”. Il tedesco di Emanuela non è perfetto, eppure questa sua carenza in Germania è stata vista dalla cooperativa Gangway come una risorsa. “Mi hanno assunta non solo perché mi sono formata al master di Teatro sociale e drammaterapia dell’università La Sapienza di Roma, ma anche per il fatto che sono straniera, che ho vissuto anche io lo sradicamento delle radici, perché il mio tedesco non è perfetto, perché rispetto a un tedesco sono più vicina a comprendere i sentimenti dei ragazzi”.

“Quando sono arrivata, le uniche cose che sapevo dire erano ‘ich habe hunger’ (ho fame) e ‘ich bin müde’ (sono stanca)”

Emanuela non è scappata dall’Italia per la crisi, né perché non aveva lavoro. “La maggior parte di quelli che si trasferiscono lo fanno perché sono amareggiati dall’Italia, mentre io sono stata fortunata, mai sfiorata dalla crisi o dalle esperienze di lavoro sottopagato”. Quel che l’ha spinta a fare le valigie verso Berlino è stato un altro tipo di necessità: inseguire il suo sogno teatrale e la sua passione per la Germania. “Ho cominciato a fare teatro alle superiori e non si faceva che parlare del metodo dello straniamento di Bertolt Brecht: così è cominciata la mia passione per il tedesco. Poi mi sono laureata a Perugia, in Filosofia, e ho amato Rosa Luxemburg: così si spiega la mia passione per Berlino”. Eccola quindi arrivare nella capitale tedesca sei anni fa per fare ricerche per la sua tesi magistrale in Teorie e metodi per la comunicazione. “Dovevo ricercare fra i giornali tedeschi le recensioni di Germania anno zero di Roberto Rossellini”. Iscritta alla specialistica all’Università Statale di Milano, quindi, ma decisa a esplorare la tanto sognata Berlino.

“Quando sono arrivata, le uniche cose che sapevo dire erano ‘ich habe hunger’ (ho fame) e ‘ich bin müde’ (sono stanca)”. La borsa di studio di due mesi è giusto bastata per fare un corso base di tedesco. Poi la voglia di scoprire Berlino è restata ma sulla scrivania si accatastavano la tesi da terminare e le rate delle tasse universitarie da pagare. “I primi anni ho guadagnato il mio stipendio in un negozio di souvenir: è stato orribile. Il mio capo era una vecchia signora tedesca che ora ha quasi 90 anni. Il mio tedesco era un mix fra citazioni dell’Opera da tre soldi di Brecht, gergo cinematografico e un elenco a memoria dei prodotti turistici, dalle sfere di neve con la porta di Brandeburgo agli orologi a cucù. Non parlando bene tedesco mi sono ritrovata ad essere pagata meno dei miei colleghi e a lavorare tutti i fine settimana”. Eppure sono stati proprio quei soldi (uniti a una seconda borsa di studio) a permetterle, una volta laureata, di frequentare da pendolare Berlino-Roma il master teatrale della Sapienza, titolo che le ha aperto le porte del lavoro nel carcere minorile maschile della capitale tedesca.

“Se ho potuto portare avanti la gravidanza e non avere problemi economici è stato solo per gli aiuti ricevuti in Germania”

Under 30, espatriata e da poco nel mercato del lavoro tedesco. È in questa fase che è arrivata, circa un anno fa, la sua bambina. “Se ho potuto portare avanti la gravidanza e non avere problemi economici è stato solo per gli aiuti ricevuti in Germania, dove i genitori hanno diritto a 12 mesi stipendiati per prendersi cura dei figli. Io ne ho utilizzati otto e il mio compagno sei”. In questo modo, quando sua figlia aveva sei mesi, Emanuela ha potuto riprendere a lavorare mentre il suo compagno si è preso cura della piccola finché non ha cominciato ad andare all’asilo. “Spero che questa politica meravigliosa per le famiglie un giorno si realizzi anche in Italia”.

Oltre a fare attività teatrali nel carcere minorile, la mattina la 30enne pugliese lavora per l’International Theatre Institut/Mime Centrum, un istituto di teatro dove si occupa della gestione della sala, dalla scelta dei docenti ai progetti da accogliere. “Come in Italia, anche qui funziona tutto per conoscenze, però la raccomandazione non è mai per parentela ma per merito, quindi una volta che lavori bene tutto segue naturalmente”. Dopo il lavoro, la sera spesso si unisce al vastissimo pubblico che va a teatro nella capitale tedesca dove trovare spettacoli sold-out è tutt’altro che raro. “Vivo bene e vivo felice: non ho una casa di proprietà e non ho una macchina, ma ho un bellissimo appartamento in affitto e una comodissima bicicletta”. Per le vacanze, poi, ecco all’orizzonte le meraviglie dei paesaggi pugliesi. In effetti, secondo Emanuela, una cosa alla capitale tedesca manca. “Se solo Berlino si affacciasse sul mare, allora sarebbe perfetta”.

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