Confindustria e i sindacati contro la manovra correttiva del governo Gentiloni. Il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul decreto di correzione dei conti pubblici, ha ricordato che “durante il percorso di definizione del provvedimento si è spesso sostenuto che la preannunciata correzione dei conti sarebbe stata conseguita ricorrendo prevalentemente a misure di contrasto all’evasione fiscale, senza incrementare la pressione sui contribuenti“, ma al contrario “alla luce dei testi definitivi invece appaiono evidenti alcuni aumenti del carico impositivo“. Panucci ha poi espresso dubbi sulla possibilità di tradurre in pratica i propositi messi nero su bianco nel Documento di economia e finanza. “Vengono indicati diversi obiettivi: forte riduzione del deficit, annullamento delle clausole di salvaguardia e misure di sostegno alla crescita“. Ma si tratta di obiettivi contrastanti, per cui “qualcuno non potrà essere raggiunto”.

“Lo Stato impone alle aziende di finanziarlo a tasso zero” – Oltre agli aggravi fiscali, ha continuato Panucci, nella manovrina ci sono diversi adempimenti aggiuntivi e nuove misure che metteranno in difficoltà le imprese. Nel mirino, innanzitutto, l’estensione del cosiddetto split payment dell’Iva, cioè l’obbligo di versarla direttamente all’Erario invece che ai fornitori. La manovra ha previsto che debbano applicarlo anche le partecipate pubbliche e le maggiori aziende quotate a Piazza Affari. Questo però, ha ricordato il direttore generale di viale dell’Astronomia, “determina un finanziamento a tasso zero allo Stato da parte delle imprese, privando queste ultime, seppur temporaneamente, di una vitale liquidità“. E “le tensioni finanziarie collegate a tale intervento si sommerebbero a quelle, mai sopite, legate ai ritardi di pagamento dei debiti commerciali delle Pa”. Questo “anche in considerazione dei tempi medi con cui l’amministrazione fiscale italiana provvede al rimborso dei crediti Iva”: stando agli ultimi dati forniti dalla Banca Mondiale, “per ottenere il rimborso di un credito Iva in Italia occorrono mediamente 602 giorni, contro i 35 giorni della Germania e i 126 della Spagna”. Ovviamente, “l’estensione dello split payment anche alle operazioni verso società controllate dalla pa, sia centrali che locali, nonché verso società quotate inserite nell’indice Ftse-Mib non può che acuire il problema”. Saranno comunque “decisive le modalità definite dal medesimo decreto ministeriale di attuazione”.

Rete Imprese Italia: “Split payment solo per fare cassa, non riduce evasione” Rete Imprese Italia ha rincarato la dose evidenziando che “l’estensione del meccanismo di split payment non può trovare motivazioni diverse che quelle del fare cassa”. Sicuramente “non può essere di contrasto all’evasione” perché, per fronteggiare questo problema, c’è già la fatturazione elettronica” nonché “l’obbligo di trasmissione periodica dei dati di fatture emesse e ricevute e dei dati delle liquidazioni Iva ogni trimestre”, ha detto il presidente di turno Cesare Fumagalli. “Inutilmente, vien da dire, se ora la manovrina estende lo split payment a tutti i fornitori di beni e servizi verso la pa e le principali società quotate e carica le imprese di nuovi oneri e adempimenti, come quelli che verranno provocati dalla misura che limita la compensabilità dei crediti tributari. Estensione dello split payment e stretta sulle compensazioni sono una ‘tenaglia’ che rende le imprese prigioniere dei propri crediti Iva”.

“Il taglio dell’Aiuto alla crescita economica incrementa la pressione fiscale” – Infine il taglio dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) “dopo solo 6 anni dall’introduzione”: per Confindustria “il cambio di impostazione, animato unicamente dalla necessità di reperire risorse, poteva essere evitato, semmai ricorrendo a interventi di differente tenore (per esempio agendo ulteriormente sull’entità dei rendimenti nozionali) ed è criticabile sotto vari punti di vista. Complessivamente, l’azione comporterà un incremento, neppure troppo velato, della pressione fiscale su almeno un quarto delle imprese operanti nel Paese, quando, sul piano internazionale, i Governi sono notoriamente impegnati in politiche di segno opposto”.

Cisl: “Per correggere i conti nuovi tagli lineari” – Dal canto loro i sindacati hanno criticato i tagli e gli insufficienti interventi pro crescita. Il segretario confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli, ha sottolineato che la correzione dei conti pubblici prevista dalla manovra “avviene per larghissima parte attraverso tagli lineari nella pa”. Sarebbe invece opportuno “procedere con una riorganizzazione delle tax expenditure“, cioè le detrazioni e deduzioni fiscali, “almeno per quella parte che comporta delle duplicazioni di agevolazioni e che non riguarda i diritti costituzionalmente garantiti”. Il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy, ha parlato di “un decreto minestrone, che per certi aspetti somiglia al milleproroghe e per altri è una mini manovra finanziaria”. Ma, ha avvertito, “ripristinare meccanismi di tagli della spesa rischia di deprimere i pur timidi segnali di ripresa e crescita nostro Paese”. Per la Cgil quella all’esame del Parlamento è una manovra in cui, “ancora una volta, il grande assente è il lavoro. Una manovra che non mostra alcuna ambizione di rilancio del Paese, anzi lo lascerà, purtroppo, in una fase di stagnazione, combinando austerità e liberismo, senza sospingere la crescita del Pil”.

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