A riflettori spenti, si pone la domanda: cosa resta del viaggio di Francesco al Cairo. E la risposta è: l’affermazione di una forte convergenza tra il Vaticano e il centro più importante dell’Islam sunnita – l’Università di Al-Azhar – nell’opporsi alla deriva del terrorismo jihadista. Francesco non è andato in Egitto per fare una predica (a volte nei media sembra che parli solo lui come portatore di verità) ma per cementare un’intesa con l’Islam pensante su due punti chiave: il rifiuto netto della violenza omicida ammantata di motivi religiosi e l’affermazione dei diritti di cittadinanza dei credenti di ogni religione.

l-Tayyeb su questi temi, non da oggi, è esplicito e non a caso l’Isis lo dipinge come un traditore. “Attaccare i cristiani e i credenti di altre religioni per falsa religiosità è un tradimento degli autentici insegnamenti dell’Islam”, sosteneva già due anni fa. (Esiste) un diritto originario di cui Allah ha dotato l’uomo: un diritto che riguarda la libertà e la liberazione dalle costrizioni e specialmente il diritto alla libertà religiosa, di credo e di confessione”, ha dichiarato nel febbraio di quest’anno. Aggiungendo che le “religioni celesti” (i monoteismi abramitici) devono necessariamente praticare un rapporto di reciproca conoscenza, “cooperazione e integrazione” in quanto ciò “rappresenta un’esigenza religiosa di primaria importanza”.

Su questa linea il viaggio di Francesco rafforza una strategia di isolamento della propaganda jihadista: un fatto importante sul piano geopolitico. E’ vero, il mondo islamico non è strutturato come quello cattolico. Non esiste una struttura unitaria capace di dettare regole per tutti. Non esiste un Papa. Ogni comunità tendenzialmente va per conto suo. A maggior ragione è importante annodare relazioni e convergenze con quei centri, che possano esercitare una qualche influenza. Il Cairo ha un rilievo particolare per il mondo islamico sunnita, Teheran ha un ruolo particolare in campo islamico sciita. Il Vaticano ha ottime relazioni con entrambi. Si può dire anche, alla luce di questo viaggio, che la Santa Sede ha creato con papa Francesco un asse Vaticano-Cairo-Teheran, che faccia da diga al maremoto del terrorismo di marca islamista. E al tempo stesso da baluardo all’isteria anti-islamica, che contamina crescenti gruppi sociali e politici in Occidente.

“Smascherare, in quanto responsabili religiosi, la violenza che si traveste di presunta sacralità … (scandire) un no forte e chiaro a ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio”, è il messaggio centrale portato da Francesco nel suo viaggio. Che i suoi interlocutori siano sulla stessa lunghezza d’onda è un buon segno sul piano politico mondiale, anche se la lotta all’Isis e al jihadismo (fenomeni modernissimi e niente affatto medievali) richiede da tutti un respiro lungo e sforzi in molte direzioni.

Commentava alla vigilia del viaggio padre Samir Khalil Samir, gesuita, noto teologo e islamologo di origine cairota e docente per oltre un decennio all’Istituto pontificio orientale di Roma, che Bergoglio “viene dall’Argentina, non conosce l’Islam. Ha conosciuto a Buenos Aires un imam molto gentile … ma la sua ignoranza dell’Islam non giova al dialogo. Bergoglio ha detto spesso che l’Islam è una religione di pace e questo è semplicemente un errore”.

La frase è sintomatica dello stile di disprezzo con cui il Papa viene trattato da chi non è d’accordo con lui. In realtà Francesco al Cairo e in altre occasioni sta portando avanti una linea geopolitica iniziata vigorosamente da Giovanni Paolo II, che ben conosceva i brani aggressivi e violenti contenuti nel Corano (come peraltro egualmente nella Torah), ma riteneva un errore fondamentale fare dell’Islam il “diavolo del XX secolo” e ha lavorato sistematicamente per il dialogo tra cristiani e musulmani. Lo stesso Benedetto XVI, dopo il drammatico scivolone del discorso di Ratisbona (con degli errori riconosciuti più tardi dallo stesso pontefice), sosteneva la necessità di “consolidare i legami di amicizia e di solidarietà tra la Santa Sede e le comunità musulmane del mondo”. Non mancando di ribadire in occasioni ufficiali “tutta la stima e il profondo rispetto verso i credenti musulmani”.

Benedetto è stato il primo papa a pregare in un tempio musulmano, la Moschea Blu di Istanbul. Come Giovanni Paolo II è stato il primo pontefice a baciare il Corano, gesto che all’epoca fece inorridire padre Samir, secondo cui ciò aveva provocato uno “shock per molti cristiani nel Vicino Oriente” quasi “che ciò significhi che il Corano è divino” il che, secondo il gesuita, non era nelle sue intenzioni di Wojtyla.

In altre parole Francesco sta continuando una strategia internazionale di lungo corso della Santa Sede, strategia particolarmente preziosa in una fase in cui si tratta di togliere l’acqua culturale ai “pesci” del terrorismo islamista.

Allo stesso tempo Francesco ha ribadito che nella Terza guerra mondiale a pezzetti, che è in corso, “ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”. Un monito a Washington e a Mosca.

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