Cinema

Piigs, il documentario sulla crisi economica che vi farà odiare la Banca Centrale Europea

L’acronimo ideato da un giornalista dell’Economist nel 2009, ovvero i P.I.I.G.S., quegli staterelli europei inferiori dal debito pubblico insostenibile (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), riecheggia come una maledizione eterna e volontaria tra le pieghe di una cronistoria “europeista” degli ultimi 25 anni mai come oggi, anno domini 2017, finita per essere sinonimo di una strana, sballata e squilibrata concezione della democrazia. Diretto da Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre, il film uscirà nelle sale italiane il 27 aprile

di Davide Turrini

I dogmi dell’austerity imposti dalla troika europea agli stati dell’Eurozona sono pure invenzioni senza senso, imbarazzante frutto di calcoli volutamente sbagliati, ma soprattutto le misure draconiane fatte di tagli alla spesa pubblica hanno chiaramente creato più danni di prima. Guardi e ascolti economisti più o meno illuminati, memorizzi complessi ragionamenti e spiegazioni, ti arrabbi e imprechi contro la Banca Centrale Europea seguendo Piigs, il documentario diretto da Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre che uscirà nelle sale italiane il 27 aprile 2017. Un’ora e dieci di immagini con la voce narrante di Claudio Santamaria, ideate sulla falsariga della pungolatura concettuale di un Michael Moore, e coniugate con un devastante realismo alla Ken Loach. L’acronimo ideato da un giornalista dell’Economist nel 2009, ovvero i P.I.I.G.S., quegli staterelli europei inferiori dal debito pubblico insostenibile (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), riecheggia come una maledizione eterna e volontaria tra le pieghe di una cronistoria “europeista” degli ultimi 25 anni mai come oggi, anno domini 2017, finita per essere sinonimo di una strana, sballata e squilibrata concezione della democrazia.

Tra le pacate e disarmanti riflessioni di Noam Chomsky e un paio di guest star che analizzano il disarmante presente, come il professore della London School of Economics, il belga Paul de Grauwe, o l’insider finanziario Warren Mosler, il lavoro di Cutraro, Greco e Melchiorre tende a sbugiardare quei dogmi economici assoluti dell’ideologia neoliberista nata con la scuola di Chicago a fine anni settanta, ripetuti ossessivamente dai governanti europei per far digerire lacrime e sangue ai propri cittadini dall’inizio del sogno europeo nel 1992 fino a oggi: debito pubblico, deficit, inflazione, costituzione europea. Per demolire il mantra del debito pubblico si pesca perfino dal Colbert Show statunitense, dove lo studente Thomas Herndon ha scoperto che nei documenti di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, con cui l’Unione Europea ha giustificato le misure di austerity, ci sono dei banalissimi errori di allineamento di fogli e colonnine Excel. Per spiegare che il rigido parametro del 3%, il famigerato rapporto tra deficit e PIL ripetuto come un rosario, tra gli altri, dall’ex presidente del consiglio Renzi, è una letterale invenzione a casaccio, ecco la testimonianza di Guy Abeille, ex funzionario del ministero delle finanze quando all’Eliseo era presidente Mitterand. “Il presidente voleva fissare un tetto alla spesa pubblica, cercava uno strumento semplice e per uso interno, nessuna teoria economica”, spiega Abeille. “In nemmeno un’oretta mettemmo il deficit in rapporto al PIL e con un’operazione alquanto casuale e legata ai parametri dell’epoca ci risultò il 3%. Fu poi Trichet nel 1992 durante la preparazione del Trattato di Maastricht a tirare fuori quel parametro. Noi in Francia abbiamo un numero che funziona bene, possiamo utilizzarlo. E così nacque totalmente priva di senso quella cifra”.

Regoline e parole d’ordine, veri e propri spauracchi teorici, inventati con un unico imponente obiettivo: “smantellare lo stato sociale”, come ricorda Chomsky, “il più grande contributo delle socialdemocrazie europee del dopoguerra dato alla civiltà moderna”. Sembra tutto un grande bluff questa sovrastruttura della Unione Europea, una diretta propaggine di quelle dottrine neoliberiste che con il loro inesausto cinismo individualista hanno svuotato le prerogative della sovranità dei singoli stati nazione finiti in pasto alla bramosia della finanza senza regole. Dottrine che vengono illustrate più volte nel film grazie alle apparizioni stordenti del suo ideatore supremo, Milton Friedman: “Tagliare ogni spesa pubblica a parte quelle per la difesa” oppure “il mondo va avanti grazie alle persone che perseguono i propri interessi, perché le grandi conquiste della civiltà non arrivano da uffici governativi e l’unico modo per le grandi masse di poveri di uscire dalla miseria è nelle società capitaliste dove il commercio è libero”.

Peccato che il contraltare narrativo di questi tagli sulla spesa sociale, che Cutraro, Greco e Melchiorre mostrano come diretta conseguenza delle bubbole teoriche, sia la distruzione di un’esperienza virtuosa come quella de Il Pungiglione, una cooperativa sociale romana che negli anni ha aiutato oltre 500 tra disabili, ex tossici e persone con malattie mentali a reinserirsi nel mondo del lavoro e nella società. Coop rimasta in mutande per l’applicazione pratica dei concetti generali che vogliono il rispetto dei parametri e il sacrificio di finanziamenti, in scala dal governo nazionale a quello locale, su sociale, sanità e pensioni (ci sono anche le lacrime della Fornero, non preoccupatevi). “I diritti ottenuti nel dopoguerra sono diventati servizi, mentre il cittadino europeo oggi è un cliente. E ci sono servizi che non tutti i clienti possono permettersi”, spiega lo scrittore Erri De Luca. Insomma, la società che umilia i più deboli affidandosi alla cieca obbedienza dei dogmi economici della troika è una sceneggiatura già scritta: “Quando partecipai al primo meeting dei paesi dell’Eurozona proposi alla troika un compromesso tra le nostre istanze, derivanti da un referendum popolare, e le loro”, commenta un’altra star antisistema come l’ex ministro dell’economica greco, Yannis Varoufakis. “Ma Schauble (ministro delle finanze tedesco ndr) mi disse che ‘le elezioni non possono essere permesse se cambiano il progetto economico della Germania’”.

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