A questo punto, l’interrogativo non è tanto chi sarà il nuovo presidente francese, se Emmanuel Macron, tecnocrate centrista, giovane e carismatico, europeista e riunificatore, o Marine Le Pen, nuova Marianna dell’estrema destra, icona sovranista, radici petainiste e presente putiniano. Le previsioni di voto e le confluenze politiche dicono che vincerà, e piuttosto largo, Macron, anche se, in tempi di Brexit e di Trump, di previsioni e confluenze è giusto dubitare, ché poi la gente fa quel che vuole (e spesso quel che vuole non è quel che dicono i sondaggi).

L’interrogativo è, piuttosto, come – e con che maggioranza – governerà chi sarà presidente. Perché, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, destra e sinistra omologate, ‘gollista’ e socialista, sono contemporaneamente escluse dal ballottaggio; e, sempre per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, c’è la prospettiva di avere un presidente che non è sostenuto da un partito maggioritario o che non è espressione di un vero e proprio partito.

In tal caso, il nuovo presidente dovrà cercarsi nell’Assemblea nazionale una maggioranza, magari di coalizione – un inedito, nella Quinta Repubblica -, se non dovrà partire, subito, accettando la coabitazione con un premier espressione di una forza diversa dalla sua – questa è un’esperienza già fatta due volte, tra le forze tradizionali, presidente socialista, Mitterrand, e premier di destra, Chirac; o presidente di destra, Chirac, e premier socialista, Jospin. Anche se non bisogna trascurare l’ ‘effetto traino’ che il ballottaggio del 7 maggio avrà sulle politiche dell’11 e 18 giugno: il vincitore delle presidenziali potrà, cioè, sfruttare lo slancio derivante dal fresco successo. Come non bisogna prescindere dall’autolesionismo della sinistra: se Fillon e Hamon appoggiano immediatamente Macron al ballottaggio, Melenchon dice che andrà a pescare (anche se l’Humanité comunista mette in prima una foto graffiata della Le Pen e un titolo categorico, ‘Mai’).

Nella domenica della disfatta dell’establishment tradizionale, emergono ugualmente fattori di solidità e di tenuta della Francia ‘repubblicana’, che sa assorbire lo ‘stato d’emergenza’ del Paese sotto attacco, va alle urne con un’alta affluenza e si mostra più forte del Califfo, senza concedere alla Le Pen il bonus terrorismo pronosticato. Emma Bonino evidenzia, nel suo commento, la validità e la coerenza di un sistema elettorale che, nel disfacimento dei partiti tradizionali e dei loro candidati, esprime comunque due personalità di rilievo, che interpretano due anime diverse del Paese: non è un’esclusiva francese, ma è un privilegio di tutti quei Paesi – come pure Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania – che non alterano il sistema elettorale in funzione degli opportunismi politici.

Oltre a quanto tutti già percepiscono dell’attuale momento politico e sociale, come il rifiuto dei partiti tradizionali, l’analisi del voto francese fa emergere il fallimento delle primarie: destra e socialisti si fanno autogol scegliendo candidati delle loro ali estreme e poi o impallinandoli (la destra con Fillon) o abbandonandoli (i socialisti con Hamon). Col senno di poi, se i gollisti avessero scelto Juppé e i socialisti Valls, Macron rischiava di restare soffocato; così, invece, gli s’è aperta un’autostrada al centro, che lui ha sfruttato, mentre Fillon inseguiva la Le Pen sul suo terreno e Hamon sembrava uno sbiadito Melenchon (e, a quel punto, meglio gli originali dei sosia).

Fronte Unione europea, la prospettiva Macron rafforza l’euro e ringalluzzisce le borse, questa mattina: Juncker e la Merkel gli fanno i complimenti e lo sostengono (il che non suona garanzia di vittoria). Ma i dati preoccupano più del risultato: almeno due elettori francesi su cinque, chi vota Le Pen e chi vota Melenchon, cerca alternative, diverse, ma nette, all’attuale integrazione – in Italia, stando ai sondaggi, sarebbero oggi uno su due.

Il confronto con l’Olanda è impietoso: a metà marzo, lì c’era lo spauracchio di un partito anti-Ue e xenofobo, razzista e anti-Islam, che poteva essere la prima forza; non andò così – s’affermarono i liberali euro-tiepidi -, ma soprattutto 7 olandesi su 8 votarono per partiti più o meno pro-Unione. Il sostegno elettorale francese all’integrazione europea è molto meno netto, anche se la maggioranza va a candidato che fa dell’Europa e dell’euro elementi centrali del suo programma: nel suo quartier generale, le bandiere dell’Ue vanno esaurite prima di quelle francesi.

Sventoleranno, il 7 maggio, alla Bastiglia, a piazza della Repubblica e sull’Eliseo?

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