“Pubblicato il bando di gara per la manutenzione, il recupero e la valorizzazione del Mausoleo dei Plauzi a Tivoli. I lavori oggetto dell’appalto riguardano il consolidamento delle strutture e dei nuclei murari, scavi archeologici, la realizzazione di bauletti protettivi delle sommità delle murature, il restauro di superfici lapidee, opere di impiantistica elettrica sia all’interno che all’esterno del sito, opere a verde per la realizzazione di un parco archeologico”.

Il bando di gara pubblicato sul sito di Invitalia lo scorso 2 febbraio, sembrava regalare grandi speranze al sepolcro a pianta circolare del I secolo d. C., a due passi da Villa Adriana. Sepolcro che, insieme al vicino ponte romano sul fiume Aniene, costituisce un complesso archeologico di straordinaria importanza. Al punto da risultare uno dei siti identificativi per Tivoli, come dimostrano le rappresentazioni di tanti artisti, da Piranesi a Salvator Rosa, da Lorrain a Poussein e Corot.

Come questo patrimonio possa avere perso negli ultimi decenni qualsiasi dignità non è un mistero. Degrado, abbandono, disinteresse e incapacità hanno relegato non solo i due monumenti ma l’intera area in cui sono compresi, a un “non luogo”. La tomba è attraversata da una moltitudine di lesioni e dal distaccamento del materiale lapideo e ricoperta da vegetazione spontanea, il casale seicentesco che si trova di fronte è ormai parzialmente crollato, ci sono abitazioni abusive, rifiuti, erbacce. E poi c’è il muro realizzato nel 2004 dall’Agenzia regionale per la difesa del suolo (Ardis) della Regione Lazio per difendere la zona dalle esondazioni dell’Aniene.

Non solo il muro alto circa cinque metri sulla sponda sinistra, ma anche le opere di cementificazione delle adiacenze della tomba. Un intervento costato quasi quattro milioni di euro che, evidentemente, non teneva in alcun conto il pregio paesaggistico dell’area. Come denunciavano il Wwf e la locale sezione di Italia nostra, l’Ardis non considerava: “L’impatto paesaggistico, il rischio per la stabilità dei monumenti, il mancato abbassamento dell’altezza dell’argine a seguito degli interventi sul ponte romano e l’assenza di interventi per proteggere Ponte e Mausoleo dai trasporti di detriti in caso di piena”.

Almeno fossero state utili, avrebbero avuto un senso quelle opere. Invece, niente. “Questo è l’ultimo schiaffo a Ponte Lucano. La soluzione del muro è stata la più veloce, e facile, applicata dall’Ardis che ha poi successivamente provveduto al suo abbassamento, senza però risolvere a monte il problema”, diceva Luciano Meloni, presidente del comitato Salviamo Ponte Lucano. Insomma, problema delle esondazioni irrisolto.

Già, perché continua a mancare un collettore fognario. Così, l’intera area continua ad allagarsi anche perché le pompe idrovore installate dalla Regione aspirano l’acqua dalla via Maremmana, ma la scaricano proprio dentro al recinto costituito dal muro e all’interno del quale si trova il sepolcro. Sembra impossibile crederci ma è proprio così, nonostante le proteste di cittadini e associazioni ambientaliste. Nonostante un protocollo d’intesa del 2005 avesse stabilito il recupero dell’area.

Tutto inutile. Le condizioni delle strutture antiche si fanno sempre più precarie, come certifica il resoconto del sopralluogo del dicembre 2015 della Soprintendenza archeologica. Così dopo anni di promesse mancate, finalmente il progetto del Mibact. Risorse importanti. Più di 1,6 milioni di euro “spalmati” nel triennio 2016-18. Risorse che contemplano interventi sull’antico e sul verde. Anzi prevedono una sistemazione dell’area con impianto di nuove essenze. Naturalmente la loro manutenzione.

Peccato che di quel muro, altamente impattante ed inutile non si parli. Non viene preso in considerazione, così come il problema delle esondazioni. Insomma, si guarda (forse) al monumento, ma si ignora il contesto, mai, come in questa circostanza, determinante. Il rischio più che concreto è che gli onerosi lavori di sistemazione a verde dell’area siano resi inutili dalla prima esondazione fluviale.

Può essere che al Ministero dei Beni culturali nessuno ci abbia pensato? La stessa incertezza progettuale sembra contraddistinguere le scelte dell’amministrazione tiburtina che nel 2016 stanzia 74mila euro per il rivestimento con elementi arborei e vegetazione del muro in cemento e la sistemazione dell’area e poi commissiona, per un importo di 15mila euro, uno studio di fattibilità “finalizzato alla eliminazione del muro di Ponte Lucano”.

Così, mentre la Soprintendenza si appresta ad avviare i lavori nel sito, la Regione rimane silente e il Comune, sostanzialmente, decide di non decidere sulla sorte del muro, quel frammento di paesaggio si mostra come peggio non potrebbe. Altro che parco archeologico: la speranza che qualcuno sia chiamato a risponderne non può venire meno.

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