Il 7 giugno di due anni fa, la Juventus rientrava in Italia dopo la sconfitta di Berlino. Su quell’aereo c’era anche Paulo Dybala. Aveva già firmato, ma per la prima in bianconero avrebbe dovuto attendere altri tre mesi. Durante il volo, Claudio Marchisio andò a presentarsi, lo guardò negli occhi e gli aprì le porte dello spogliatoio: “Preparati bene, perché nella prossima stagione vinciamo tutto”. La storia è andata un po’ diversamente, con la Joya costretto a seguire l’amara serata di Monaco sul divano di casa per colpa di un infortunio. Ma le occasioni si ripresentano e Dybala sa aspettare il momento giusto. Ha imparato grazie agli scacchi. Fu papà Adolfo a metterlo per la prima volta davanti a torri e cavalli quando era un bambino.

Così, tredici mesi dopo, ha piazzato la Juventus a un passo dalla semifinale. Lo ha fatto davanti al Barcellona che aveva piegato i suoi compagni all’Olympiastadion. Lo ha fatto davanti al suo idolo, Leo Messi, l’uomo al quale mezzo mondo lo paragona. Lui ripete la litania da uomo maturo con la faccia da bambino: “Non sono Messi, ma voglio batterlo con la Juve”. Ha armato il sinistro, prima a giro e poi di potenza, e ha dato sostanza alla profezia. Ancora a metà, perché ci sono altri novanta minuti da giocare al Camp Nou. Però se non siamo a un cambio della guardia, poco ci manca.

È la chiusura del cerchio dopo i 23 gol nella stagione d’esordio con la Juventus, meglio di Tevez e Trezeguet. Con la doppietta di martedì è salito a quota 4 gol in 5 partite nella fase a eliminazione diretta della Champions. Sta diventando grande, mette la firma sotto le serate più importanti e gli occhi di mezza Europa sono puntati su di lui. La Juventus ha fretta di blindarlo per spegnere i sogni delle altre big, lui dice che il rinnovo è vicino. Chissà. Intanto buca i portieri, manda in gol e trascina gli altri come un veterano, alla faccia dei 23 anni.

Ha la testa dei campioni, oltre al talento scoperto da Sebastian Barrionuevo a Laguna Larga e levigato da Dario Franco all’Instituto de Cordoba. Tutti sapevano che la stella prima o poi sarebbe esplosa. È accaduto martedì, davanti al Barcellona cadente di Messi: la sceneggiatura perfetta. Soprattutto perché da agosto a sabato scorso, Dybala aveva segnato appena 10 gol tra campionato e Champions. Nemmeno una doppietta. L’unica della stagione era arrivata contro il Napoli nella semifinale d’andata di Coppa Italia. Un altro appuntamento importante, sempre lo stesso protagonista.

Se i fuoriclasse si vedono quando il pallone pesa, Dybala è davanti alla porta dell’esclusivo club. Ha avuto pazienza e guardato lontano, attendendo la sua occasione: è un giocatore di scacchi, Paulo. Si è sporcato le scarpe nella B argentina e pure in quella italiana con il Palermo, lavando l’onta della retrocessione con l’immediata risalita in A. Adesso è giunto dove pochi credevano potesse arrivare quando a 15 anni lo chiamavano ‘pretino’, perché era basso e la divisa addosso a lui sembrava la tunica di un frate. “Ora che ce l’ho fatta, rinuncerei al Pallone d’oro per vincere la Champions e il Mondiale”, disse qualche tempo fa. Contro il Barcellona ha piazzato le due mosse verso il primo obiettivo. Prima sinistro a giro, poi dal limite: lo scacco al re Leo è servito.

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