Una trasmissione Rai mi ha contattato, qualche giorno fa, per raccontare la mia città, Cagliari, oltre la cartolina. 

Come sta Cagliari? Cagliari è una città bellissima. È il capoluogo della Sardegna per la sua grandezza e la sua storia. È al centro di un’area metropolitana di 450.000 abitanti su 1,6 milioni. Cagliari è una città bellissima, se hai un lavoro ed una casa. Senza diventa un incubo, così come tante città d’Europa, provinciali per la dimensione.

Bastano pochi numeri: le persone che hanno 18 anni, che questo anno diventeranno maggiorenni, sono circa 900. Coloro i quali hanno 70 anni sono più del doppioCagliari non ha un progetto da qua al 2030, al 2050, non si pone i problemi dell’Europa e del mondo, sopravvive e non dirige. L’amministrazione amministra, mentre dovrebbe fare politica. E le dinamiche politiche, economiche, non sono i giardini.

Prendiamo l’ultimo esempio: presentazione del progetto per S. Avendrace, un centro storico di Cagliari tante volte individuato come periferia. Va benissimo programmare interventi di riqualificazione urbana, i parchi e le ricuciture urbane. Siamo felici che si pensi alla laguna di Santa Gilla ed al suo rilancio, anche se su questa poi conteranno i fatti, perché un conto è fare lavori pubblici di riqualificazione, un altro è innescare progetti di sviluppo locale. Ma S. Avendrace è un quartiere popolare, e significa poche cose, semplici: lavoro, casa, socialità.

A Cagliari, su 154.000 abitanti, 37.000 circa sono iscritti all’ufficio di collocamento. Nelle case popolari abitano circa 24.000 persone, con una precarietà abitativa permanente ulteriore terribile. Ci sono donne e uomini che muoiono di freddo e centinaia di bambini denutriti. Su questi aspetti l’intervento previsto a S. Avendrace è una bufala, una fake news.

Poi, si sa, quel “sottoproletariato” non vota o forse il suo voto viene comprato da chi oscilla tra destra e sinistra, e quindi non è importante. Discutere di Cagliari significherebbe discutere di area metropolitana. Ma i luoghi in cui discutere non ci sono. Non ci sono i giornali, non ci sono le organizzazioni. I “partiti” esistenti non si confrontano e non elaborano, e dominano micro-organizzazioni o raggruppamenti i quali parlano molto sui social o, se hanno una età avanzata, si esprimono mediante iniziative auto-referenziali.

Siamo destinati a questo? Molto in piccolo, con tanta umiltà, abbiamo provato a non fare organizzazioni leaderistiche, a promuovere attività reali, fatti e non solo parole. Con il nostro circolo Me-Ti a Cagliari, facciamo settimanalmente lezioni di sardo. Bisogna lavorare anni, è più faticoso, ma la cultura è anche “fare”, e chi ha dai 20 ai 50 anni non può essere stanco come chi ne ha 70, i pensionati della politica, che giustamente possono riposarsi. Noi dobbiamo modificare lo stato di cose esistenti.

Alla Rai ho fatto una lista di persone che conoscono la città, che conoscono gli aspetti che attengono ai soldi ed agli affari (rifiuti ed ambiente), alle condizioni di vita dei lavoratori del terziario. Una lista di persone che ogni giorno “fanno” cultura ed attivismo sociale.

Cagliari non è la cartolina. Cagliari sono tutti i miei coetanei, coi quali ho giocato in piazza e nei campi di calcio, che venivano dalla piccola borghesia, dal proletariato e dal sotto-proletariato, che non ci sono più perché sono emigrati e sono la testimonianza vivente di un popolo che si estingue.

Alla domanda “come sta Cagliari?” potrei rispondere con centinaia di dati, di articoli, di saggi, tutti univoci e che, però, sono accantonati, dimenticati, quasi a non vedere che il re è nudo. Perché il re nudo non si vede se non lo si vuole vedere.

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