Ritardi rilevantissimi, “superiori talora al decennio”, nella realizzazione delle opere. Esborsi che lievitano, per effetto delle varianti, anche del 300% (anche se la media è di +21%). Cantieri arrivano a costare solo di interessi l’80% del capitale finanziato. Controlli insoddisfacenti. E’ quello che emerge da una delibera della Corte dei Conti, che ha esaminato la gestione dei fondi destinati ai “sistemi di trasporto rapido di massa e tranvie veloci” dal 1992, quando è entrata in vigore della legge che regola questi interventi, fino al 2016.

I magistrati contabili hanno analizzato 76 progetti finanziati con fondi pubblici, scoprendo per prima cosa che quelli conclusi sono solo il 38%, meno della metà di quelli originariamente programmati, mentre 20 interventi sono stati definanziati, prevalentemente per “carenza progettuale” o per la “difficile sostenibilità” della compartecipazione finanziaria degli enti locali proponenti. In più è stato rilevato, appunto, un “eccessivo allungamento dei tempi – rispetto a quelli programmati – per molti interventi, dovuto prevalentemente a perizie di variante, sorprese archeologiche e geologiche ed indisponibilità di aree”, scrive la magistratura contabile.

Per quanto riguarda i costi, le varianti per le opere hanno inciso per oltre il 21 per cento su quelli originariamente approvati, “con incrementi elevatissimi per la Metro C di Roma“, che ha fatto registrare “ben 48 modifiche rispetto al progetto originario” (ed è finita al centro di un’inchiesta con l’ipotesi di reato di truffa aggravata ai danni di enti pubblici), e “la metropolitana di Napoli“. Dal “prospetto analitico dei costi per varianti” emerge che la tratta Venezia-Colosseo della Metro C, a fronte di un costo approvato di 197,8 milioni, ha subito varianti per un costo di 594,1 milioni, il 300% in più. La tratta Dante-Garibaldi della metro di Napoli, che avrebbe dovuto costare 500,8 milioni, è stata appesantita da varianti per un prezzo di 874,8 milioni, pari al 175% della cifra iniziale.

Su 56 opere realizzate o in corso di realizzazione, 27 hanno fatto registrare “incrementi, anche considerevoli, dei costi”, mentre solo per 7 progetti le spese sono risultate più basse del previsto. In Campania in particolare si è registrato dal 1992 a oggi “un incremento medio pari a circa il 50 per cento del costo complessivo rispetto a quello originariamente previsto”. Ma sono state riscontrate criticità anche nell’attuazione della filovia Penne-Pescara e nella realizzazione del Nodo di interscambio Cilea nel Comune di Napoli, della Tramvia leggera su gomma del Comune di Latina, del Sistema filoviario corridoio Eur Tor Pagnotta-Eur Tor de Cenci del Comune di Roma, del Nuovo sistema filoviario di Verona e della Metroferrovia – I stralcio – Giachery-Politeama di Palermo. Per quest’ultima “sussistono notevoli ritardi sull’avanzamento dei lavori per problematiche connesse al commissariamento dell’impresa”.

Un altro tasto dolente è costituito dal “lento avanzamento dei pagamenti” da parte dello Stato agli enti locali e ai soggetti attuatori per aiutarli a sostenere gli oneri dei mutui sottoscritti con la Cassa depositi e prestiti o banche private per realizzare le infrastrutture. In aggiunta, la spesa complessiva per interessi corrisponde addirittura all’80 per cento del capitale finanziato e il ritardo nei pagamenti “ha determinato la corresponsione di capitale ed interessi per somme inutilizzate rese disponibili dagli istituti finanziari”. Alla sola Cdp sono stati erogati circa 436 milioni di euro per interessi “senza effettive necessità di cassa in relazione all’avanzamento dei lavori”, vale a dire su somme non erogate perché l’opera era ferma. Un “rilevante costo improduttivo per lo Stato”, annota la Corte. Il relatore della delibera, Andrea Deliberati, sottolinea peraltro che “lo Stato, qualora non abbia disponibilità di somme per il pagamento dell’ammortamento, deve rivolgersi al mercato per finanziarsi, sopportandone il relativo onere“. Sarebbe quindi “utile e necessario porre rimedio a tale meccanismo, che penalizza non solo il bilancio statale con un maggior esborso di risorse pubbliche, ma che rappresenta anche un limite oggettivo alla disponibilità finanziaria per la realizzazione di ulteriori interventi infrastrutturali”.

Infine c’è un buco nero sui controlli: nonostante al ministero delle Infrastrutture “sia riservata una competenza di controllo e monitoraggio“, questa attività secondo quanto riscontrato dalla Corte “risulta insoddisfacente, soprattutto con riferimento alle opere relative alle ferrovie in regime di gestione commissariale governativa: l’amministrazione statale non ha puntuale conoscenza dell’azione amministrativa delle regioni, che hanno più volte fornito dati non coerenti con quelli ministeriali”. Un’importante attività di monitoraggio avrebbe dovuto essere svolta anche dall’Osservatorio del trasporto pubblico locale. Che però, per quanto concerne il controllo sugli investimenti, “non è ancora in funzione”. E’ indispensabile quindi, secondo la magistratura contabile, “rendere pienamente operativi i sistemi di monitoraggio” e creare una banca dati che permetta di conoscere in tempo reale l’avanzamento del programma delle opere strategiche e gli eventuali rallentamenti nei lavori.

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