La parola ora passa al Senato, ma è arrivato il via libera della Camera al ddl in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale e negli enti territoriali, con 211 sì, 2 no e 29 astenuti. Solo due mesi fa dal Consiglio d’Europa era arrivata la lista di raccomandazioni per il nostro paese dall’organo anticorruzione (Greco) per limitare “i giudici in politica e regoli conflitto di interessi dei deputati”. Ecco i punti principali del disegno di legge.

Obbligo aspettativa, limbo e collocazione anche in Cassazione
I paletti in ingresso e in uscita per chi fa politica riguardano tutti i magistrati, ordinari, amministrativi, contabili e militari. Siano essi in attività o fuori ruolo. E valgono per tutte le elezioni (europee, politiche, regionali, amministrative) e tutti gli incarichi di governo nazionale, regionale e negli enti locali. Candidabili ma solo “fuori sede”. Il magistrato che si presenta alle elezioni non potrà candidarsi nella circoscrizione (o nell’ambito territoriale) elettorale dove ha svolto le funzioni nei 5 anni precedenti e dovrà essere in aspettativa da almeno 6 mesi. Nessun divieto se si è dimesso o è in pensione da almeno due anni. Stop alla possibilità per sindaci o assessori in enti locali di svolgere insieme funzioni giudiziarie e funzioni politico-amministrative in ambiti territoriali diversi. La carica elettiva o l’incarico di governo, a qualunque livello, obbliga all’aspettativa (con collocamento fuori ruolo).

Il magistrato a fine mandato o a fine incarico sarà collocato in un distretto di corte d’appello diverso da quello che comprende la circoscrizione dove è stato eletto. Per 3 anni non potrà ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi e dovrà svolgere esclusivamente funzioni giudicanti collegiali. Se ha i requisiti, il magistrato ex parlamentare o europarlamentare o con incarichi di governo nazionale può anche chiedere di essere collocato in Cassazione oppure, in alternativa, di essere inquadrato nell’Avvocatura dello Stato (con divieto per 3 anni di incarichi direttivi o semidirettivi) o in un ruolo autonomo del ministero della Giustizia. Se non eletto, il magistrato rientra in un ufficio che non ricade nella circoscrizione di candidatura e per 2 anni non può esercitare funzioni inquirenti.

Nessuna restrizione, invece, se già in servizio presso le giurisdizioni superiori. Al rientro nella sede di provenienza, il magistrato già capo di un ufficio di diretta collaborazione di ministri, governatori o sindaci o componente di Authority o commissioni di vigilanza non potrà per un anno ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi. Sanzioni a chi sgarra. Chi si candida o accetta incarichi di governo al di fuori delle regole incorre in un illecito disciplinare rischiando una sanzione non inferiore alla perdita di anzianità per quattro anni. Sul sito della presidenza del consiglio confluiranno (anche tramite link) i dati elaborati dai rispettivi organi di autogoverno o di rappresentanza sui magistrati (ordinari, amministrativi, contabili, militari) e sugli avvocati o procuratori dello Stato collocati fuori ruolo. Nella banca dati saranno consultabili incarichi attuali e incarichi precedenti e durata complessiva del fuori ruolo.

M5s:”Legge che lascia immutati i privilegi”, Pd: “È una buona legge”
“Una legge che non rispetta il lavoro di quei magistrati che ogni giorno sono nelle procure e nei tribunali a lavorare. Mentre, i magistrati che siedono da trenta anni come la Finocchiaro in Parlamento, si ritroverebbero qualora non fossero eletti nuovamente, a lavorare direttamente in Cassazione. Questo succede perché coloro che fanno politica ottengono gli avanzamenti di carriera automatici a differenza dei magistrati che invece lavorano ogni giorno e fanno carriera guadagnandosela. Inoltre gli stessi magistrati possono tornare dopo pochi anni nello stesso collegio di elezione, invece di esercitare fuori dallo stesso. Il tema dei magistrati in politica poteva essere risolto semplicemente collocando i magistrati prestati alla politica in un ruolo non giudicante alla fine del mandato, invece si è scelto di tenere tutto immutato”. I deputati M5S della commissione Giustizia hanno scelto di votare contro al testo giunto dal Senato che è stato stravolto ad uso e consumo di pochi privilegiati: “Si sarebbe potuto semplicemente votare l’emendamento a firma Fabiana Dadone che poneva fine al privilegio dell’avanzamento di carriera anche durante la carriera politica, invece come sempre fa il PD si preferisce difendere le posizioni privilegiate. Il problema dei magistrati in politica rimane irrisolto, e non si prende una decisione netta. La politica significa schierarsi, come è giusto che sia, come anche si garantisce la libertà costituzionale ai magistrati di candidarsi, ma significa fare la scelta di cambiare carriera lavorativa. La magistratura deve rimanere indipendente e non può essere inficiata dalla politica”.

“È una buona legge, equilibrata, anche se tocca un tema sensibile come è la partecipazione dei magistrati alle cariche elettive. Per noi – dice David Ermini, responsabile Giustizia del Pd – la divisione dei poteri è sacrosanta e a quella ci siamo ispirati scrivendo queste norme che intervengono sulla candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati che abbiano ricoperto incarichi politici sulla base di una convinzione: le istituzioni rappresentative hanno bisogno di tutte le competenze, senza escluderne nessuna, compresi i magistrati che nell’attuale parlamento sono in tutto nove, di cui quattro in pensione”.  “Il Pd alla Camera è diventato il partito dei giudici in politica: dopo tre anni di stallo in Commissione, ha ripreso in mano il ddl sulle toghe in politica e, con un colpo di mano ‘parlamentare-giudiziario’, lo ha stravolto” aveva detto il deputato di Forza Italia Francesco Paolo Sisto intervenendo in Aula in dichiarazione di voto.

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