RealTime deve molto a Il Boss delle Cerimonie. Su questo non c’è dubbio alcuno. La morte di Antonio Polese, il proprietario del Grand Hotel “La Sonrisa” di Sant’Antonio Abate (Napoli), tempio superkitsch dei matrimoni allegri e cafoni, è stata dunque un duro colpo per il canale più dinamico del gruppo Discovery.

Comprensibile, dunque, che prima di mandare in onda la nuova stagione del programma, ovviamente registrata prima della dipartita del “boss”, RealTime voglia ricordare uno dei suoi volti più noti. Tra il sacrosanto ricordo e l’imbarazzante agiografia, però, c’è una differenza enorme e purtroppo i signori di Discovery hanno scelto la seconda strada.

Venerdì sera alle 23, dunque, sul canale 31 del digitale terrestre è andato in onda un lungo e a tratti insultante ritratto agiografico di un signore che, in fondo, non era altro che il proprietario di un posto kitsch, emblema di un certo Sud Italia che esiste (anche se spesso fingiamo di no) e che è pronto a indebitarsi pur di celebrare le nozze in quel posto brutto assai, tra colombe che volano, cantanti neomelodici pronti a far vibrare l’ugola e arredi kitsch che più kitsch non si può.

C’è spazio per tutto, in televisione. Soprattutto di questi tempi. Ma quello che è sembrato più insultante dello speciale di ieri sera è stata l’esaltazione da regime nordcoreano di un anziano signore la cui famiglia ha avuto anche qualche guaio giudiziario, proprio legato a La Sonrisa (sequestrato qualche anno fa). E allora che senso ha il ritratto che abbiamo visto in tv venerdì sera? È stato tratteggiato un quadro idilliaco, un ritratto da santo benefattore, sorvolando colpevolmente su tutto il resto. “Quanto era generoso don Antonio! Quanto era carismatico don Antonio!”. E giù con ricordi da aneddotica di regime, una roba che Kim Jong Un si sogna di notte.

“Il Boss delle cerimonie” è un programma di intrattenimento leggero, obietteranno i più superficiali. Vero, una trasmissione superlight a tratti anche godibile e simpatica, sulla cui qualità, però, potremmo discutere per ore. Così come sul messaggio che troppo spesso arriva allo spettatore. Ma il punto, almeno stavolta, non è questo. Il punto è che si è scelto di ricordare un signore discusso con un linguaggio da “vita dei Santi”, con tutti i parenti a ricordare il caro estinto e l’intervento di cantanti neomelodici, amici e sposini che hanno celebrato il lieto evento alla Sonrisa e ora ricordano la “benedizione” di don (sic) Antonio come una benedizione papale che li accompagnerà per tutta la vita. Si è arrivati persino a documentare la visita della vedova al cimitero (la cappella di famiglia, ovviamente, è kitsci anzicheno).

Massimo rispetto per un signore recentemente defunto e per il dolore comprensibile dei familiari, ma questa operazione di RealTime era davvero necessaria? Soprattutto realizzata in questo modo acritico e esageratamente agiografico? Anche perché, ammettiamolo, le cose che diceva Antonio Polese facevano ridere assai per i modi e per l’italiano stentato, ma i contenuti erano da accapponare la pelle, con riferimenti lessicali a pratiche non proprio edificanti e concezioni arcaiche della famiglia, del matrimonio e della vita in genere.

C’è un limite anche al trash e alla sua strumentalizzazione televisiva. C’è un limite anche alla leggerezza con cui il mezzo televisivo approccia alcuni fenomeni “culturali” e sociali che andrebbero, al contrario, analizzati con maggiore senso critico.

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