Prima un tormentone alla rovescia rispetto al titolo dei fratelli Coen e del libro di Cormac McCarthy; poi un programma radiofonico su Radio2 con l’ascolto puntata dopo puntata di storie di ragazzi e ragazze fuggiti all’estero; infine la materia di cui sono spesso fatti i sogni: un film. Dal 23 marzo 2017 sarà in sala Non è un paese per giovani, l’ultima fatica di Giovanni Veronesi prodotta da Paco Cinematografica e RaiCinema. Nessuna prospettiva, niente realizzazione, men che meno uno stipendio, il regista toscano ha raccolto per mesi voci e testimonianze di chi, under 30, è volontariamente scappato lontano dall’Italia per trovare la vita che qui era impossibile trovare.

L’orizzonte degli eventi che muta radicalmente, le radici che si fanno sottili, generazioni di padri e madri che non vedranno più il proprio figlio crescere a pochi passi o chilometri da casa. Così dopo aver immagazzinato materiale reale, Veronesi con il suo film plana dentro al nocciolo della questione. Scoperchia la precarietà esistenziale, solletica la voglia di sognare, ammette le sconfitte delle generazioni adulte che hanno preceduto i “fuggiaschi” e dipinge un ritratto curioso, molto più picaresco di quello che ci si poteva aspettare, nella storia del ventenne Sandro (Filippo Scicchitano), figlio di un edicolante in crisi, col pallino e la stoffa dello scrittore, e del più maturo Luciano (Giovanni Anzaldo), cameriere come lui per ripiego economico ma con l’idea, presto condivisa dal collega, di aprire a Cuba un ristorante italiano che offra ai clienti il wi-fi, merce rara sull’isola inquadrata ancora con in vita Fidel.

Insomma il primo effetto spiazzante di Non è un paese per giovani è proprio la scelta narrativa che sembra non essere esempio, ma eventuale e generica possibilità. I cosiddetti “cervelli in fuga”, i supergeni che hanno ruoli dirigenziali a Capo Nord o nella Terra del Fuoco, a Boston come a Auckland, appaiono di sfuggita nei titoli di testa, con quelle immaginette rapide da web, filmatini sintetici perché si ha fretta di lavorare. Più piadina romagnola alla Samuele Bersani che responsabilità altisonanti in qualche laboratorio ultramoderna di Londra o New York, Veronesi inclina il piano della fuga così, come se riprendesse in mano lo squinternato terzetto di Che ne sarà di noi? (2004) e gli concedesse un secondo giro di valzer. Luciano con quel suo lato oscuro, innervato di violenza (auto)distruttiva che si svilupperà a Cuba, non è poi così lontano da quell’Elio Germano già modello trasformativo alla De Niro nel film del 2004. Inutile quindi cercare la conferma dell’assunto generale “i migliori se ne vanno dall’Italia”, poi chiosato tragicamente dalle parole del ministro Poletti nel ruolo dell’infastidito saputello che Padoa Schioppa timidamente sfiorò col suo “bamboccioni”. Non è un paese per giovani registra un tentativo di commedia che avanza dolente, malinconica, senza dare lezioni filosofiche di vita, o creativamente di scrittura, lasciando cullare lo spettatore nell’illusione di un toccasana esotico e lontano, per poi mostrargli quanto sia importante e meravigliosa più di ogni altra cosa soprattutto la tenacia di chi non vuole mai mollare.

Forse è la prima volta che accade, ma non è un caso: un film che viene tratto da una trasmissione radiofonica. Un’esperienza fatta di dirette radio tutti i giorni a Radio 2, dove chiamavo un ragazzo italiano all’estero e mi facevo raccontare la sua storia e il perché se n’era andato dall’Italia”, ha spiegato l’autore di sceneggiature per Francesco Nuti, Leonardo Pieraccioni e Massimo Ceccherini. “Le risposte di questi giovani sono state a volte divertenti, ma a volte di una spietatezza insostenibile. Più di 100.000 ragazzi l’anno se ne vanno dall’Italia in silenzio, senza fare rumore. É un lento ma inesorabile esodo che porterà alla mancanza di tasselli fondamentali, in alcune generazioni del futuro”.

I miei film sono sempre stati delle commedie divertenti e non voglio assolutamente perdere questa valenza ma non voglio nemmeno perdere di vista il momento storico in cui viviamo e raccontarlo attraverso questo delicato argomento – conclude il regista – In questo momento l’Italia vive una difficile situazione per quanto riguarda l’immigrazione, che è divenuta anche uno specchio mediatico quotidiano con la miseria e le atrocità di alcuni posti del mondo da cui la gente scappa, ma si disinteressa totalmente di un altro aspetto, quello che raccontiamo in questa storia, che è appunto l’emigrazione dei nostri ragazzi, messi alle strette, obbligati ad andare a cercare i propri sogni all’estero”.

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